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Esseri fantastici della Sardegna

Esseri fantastici della Sardegna

In questo articolo vi riproponiamo un interessantissimo lavoro di catalogazione e rielaborazione degli esseri fantastici della nostra splendida isola. La raccolta si ispira ad un lavoro di Gianluca Medas. Tramite il link seguente potrete visitare la sua pubblicazione intitolata: Mostri in Mostra UMBRAS .

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AMMUTADORI

Altri nomi con cui viene chiamato questo incubo: AMMUNTADORE – AMMUTTAROI – MUNTADORI – MUTAROLLA – SU GARRIATORE
Questo è un demone che agisce collegato con il sonno della sua preda provocando una sensazione di angoscia, soffocamento e oppressione nel malcapitato. In Sardegna i pastori avevano paura di addormentarsi, magari all’ombra degli alberi, per timore di un’aggressione del demone che poteva strangolarli durante il sonno.
Essendo un incubo è estremamente difficile cacciarlo via, ma lo si può fare se si conoscono le apposite formule magiche (chiamate “Brebus” ovvero “verbo, parola”).
Ma cosa è in realtà l’angosciante Ammutadori?

Il fenomeno si manifesta al passaggio tra la veglia e il sonno, o viceversa. In questa fase particolare, il corpo si trova addormentato mentre la mente risulta essere ancora cosciente.
E’ possibile trovare molta documentazione relativa a queste sensazioni quando si affronta l’argomento sogni lucidi – viaggi astrali.
Chi ha provato l’esperienza di un OBE, ha sperimentato la paralisi notturna con il contorno di sensazioni associate.
Queste vanno dal percepire la presenza di una o più persone nella stanza, al vedere oggetti estranei o esseri mostruosi, all’udire suoni più o meno intensi, al sentirsi chiamare per nome, all’udire musiche, scampanio o forte ronzio.

S’ammutadori quindi può essere semplicemente associato al sonno, come la leggenda racconta, ma nulla di sovrannaturale. Possiamo facilmente immaginare come un fatto simile potesse generare nella fantasia popolare dei tempi antichi, l’immagine di un essere infernale e trasformarsi in leggenda. Per scacciarlo, se vi prende di mira, esiste uno scongiuro che le madri facevano recitare ai bambini anche come preghiera.
In questo brebu si parla dell’invidia come causa dell’arrivo de s’Ammutadori:

Sa rughe ‘e Santu Valentinu eretta eretta che filu
e che filu eretta
mal’apat chie m’orettat
chie m’hat a orettare
iscuru hapad e male
iscuru che in buca
origas de istuppa istuppa
origas de ispagnola
tottu che essa foras
francu s’evangelista
chie m’istat in cabitta
in cabitta ‘e lettu
bonu est Santu Larentu
Santu Larentu est bonu
chi faghet su sonu
chi sona che puddus’ammuntadore l’agatten abbuvuddu
La croce di San Valentino
dritta dritta come filo
come un filo dritta
maledetto chi m’invidia
chi mi invidierà
abbia ascuro e male
scuro come in bocca
le orecchie come la stoppa
orecchie come la polvere spagnola
tutto esca fuori
fuorchè l’evangelista
che stia nel mio cuscino
nel cuscino del letto
è buono San Lorenzo
San Lorenzo è buono
perchè fa il suono
che suona come il pollo
l’ammutadore lo trovino gonfio

Come riporta Antonangelo Liori nel libro “Demoni, miti e riti magici della Sardegna“, in questo brebus ci sono alcune parole incomprensibili.
Per esorcizzare s’Ammutadori si recita anche una preghiera (probabilmente più recente de su brebu).

In custu lettu mi pongio
e cun Deus mi cumpongiu
e cun nostra Sennora
po passare notte bona
mi corco in custu lettu
cun s’anghelu perfettu
cun s’anghelu cantande
Gesù Cristu perdicande
cun sa luna e cun su sole
biau santu Sarbadore
biau Santu Serafinu
mi det bonu caminu
In questo letto mi metto
e con Dio mi compongo
e con nostra signora
mi metto in questo letto
con l’angelo perfetto
con l’angelo che canta
Gesù Cristo predicava
con la luna e con il sole
beato San Salvatore
beato San Serafino
mi metta sulla buona strada

Si vede chiaramente come alla preghiera cattolica si uniscano commistioni pagane, come i riferimenti alla Luna e il Sole.
Nella terza preghiera contro s’Ammutadori scompare ogni riferimento pagano:

Su lettu meu est de battor cantones
bottor anghelos si bi ponet
duos in pe e duos in cabitta
nostra Signora a su costau m’ista
e a mie narat drommi e reposa
no hapas paura de peruna cosa
no hapas paura de malu fine.
S’anghelu Serafine
s’anghelu biancu
s’ispiridu santu
sa virgine Maria
totus mi sian in cumpagnia.
Anghelu de Deu
custodi meu,
custa notti illuminami
guarda e difende a mie
ca deo incumando a tie
Il mio letto è di quattro angoli
quattro angeli vi si mettono
due ai piedi e due sulla testa
nostra Signora mi sta al fianco
e mi dice dormi e riposa
non aver paura di niente
non aver paura della fine cattiva
l’angelo Serafino
l’angelo bianco
lo spirito santo e la vergine Maria
tutti siano in mia compagnia
angelo di Dio
mio custode
questa notte illuminami
guarda e difendimi
perchè io mi affido a te

Ciononostante, l’invocazione più “forte” resta sempre su brebu, che viene usato quando le altre due preghiere non sortiscono alcun effetto contro l’incubo notturno.

 

BOE MULIACHE

Altri nomi: Boe Mulinu
Su Boe Muliache è simile a s’Erkitu tranne che per il fatto che l’uomo che si trasforma non si è macchiato di nessuna colpa.
Semplicemente il suo destino lo porta a trasformarsi dalla mezzanotte all’alba e ad andare in giro muggendo forte, rotolandosi in terra e producendo un rumore di catene.
Nel Boe Muliache non avviene una vera propria trasformazione fisica, ma solo un comportamento animalesco da parte dell’uomo, dovuto al fatto che lo spirito di un bue si è incarnato in lui.
Altri racconti affermano il contrario, cioè che lo spirito dell’uomo, durante la notte, lascia il corpo e si incarna in quello di un Bue.

BRUSCIA

Anche: BRUJA, MAJARZA
Anche la bruja, come la coga, è principalmente una strega e in questo caso si va anche perdendo l’aspetto ematofago che si ritrova solo nelle zone di colonizzazione catalana (Alghero e nel campidano, dove viene oggi confusa con la coga a causa di una perdita di significato dovuta al tempo).
La bruja quindi è bella e strega, tanto istintiva e selvaggia da essere avvicinata ad una donna di mal’affare o di facili costumi. Può certamente divenire moglie e madre ma manterrà sempre il suo aspetto notturno pregno di magia e istintualità.

BUDRUNCU

Creatura mezzo uomo e mezzo asino.

CADDOS BIRDES

Sono cavalli dal manto verde famosi per la loro bellezza.
Difficili da incontrare, i cavallini verdi, sono dotati di poteri magici.
Le paristorias dicono che il re di Monteleone e quello di Bisarcio ne possedevano uno.
Il possesso di questi cavallini fu causa di guerre e della scomparsa di alcune città antiche (BARACE, e SANT’ANTIOCO di BISARCIO). Bisogna anche dire che avvicinare il cavallino verde è difficile, nessuno l’ha mai cavalcato. Vedi Caddos Birdes, i magici cavallini verdi

CARRO DELLA MORTE

Lo sferragliare di catene trascinate da Su Carru e’ sa Motti preannuncia una morte imminente.
Viene descritto in diversi modi: trainato da buoi inferociti o da cavalli senza testa, guidato da Lucifero in persona o dalla Morte.
Era obbligo rimanere chiusi in casa per non correre il rischio di venire trascinati via. In alcune zone dell’Isola si dice porti via solo i malvagi.
Conosciuto anche come SU CARRU GOGGIU

CARRU E’ NANNAI

Su carr’è nannai dava una spiegazione ai bambini della provenienza dei tuoni durante un temporale.
Gli si raccontava che un grosso carro, carico di massi percorreva il cielo e lo sbatacchiare dei massi tra loro produceva scintille e rumori fortissimi.
In tal modo si ammonivano i piccoli dall’uscire per strada durante i temporali.
Conosciuto anche come SU CARRU E’ DEUS

COGAS

Conosciute anche come SURBILES o SURTORAS in altre parti dell’Isola.
Destinate sin dalla nascita a diventare Cogas perchè ultime di sette figlie femmine, possono essere identificate perchè possiedono una piccola coda o una croce pelosa sulla schiena.
Possono condurre una vita all’apparenza normale ma la sete di sangue tradisce la loro vera natura che le spinge a introdursi nelle case a notte fonda per succhiare il sangue umano, sopratutto dai neonati non ancora battezzati.

Le cogas sono riconoscibili perché hanno una minuscola coda oppure una piccola croce pelosa sulla schiena.
Si dice che basti rivoltare un indumento, anche indossato in quel momento, per vedersele all’improvviso di fronte, senza abiti e coperte solo dai lunghi capelli e peli.
Chiunque può trasformarsi in coga. L’operazione consiste nel recarsi in cimitero un venerdì notte, aprire la tomba di un defunto seppellito di recente e asportare il grasso dal cadavere.
Il grasso asportato deve essere poi impastato con il sangue di una fanciulla vergine e con dell’olio santo.
L’unguento così ottenuto va spalmato sotto le ascelle e nella pianta del piede della futura coga. Non appena calerà la notte inizierà a tramutarsi nella spaventosa creatura.
E’ tipico delle cogas lasciare segni sui corpi delle loro vittime. Tutt’oggi i lividi che si presentano sul corpo, senza aver preso colpi, vengono chiamati su mossigu ‘e coga (su mussiu de coga), il morso della strega.

Essendo i neonati non ancora battezzati le vittime predilette delle cogas, le mamme e le nonne appena nasceva il bambino, come precauzione mettevano sotto il letto dove dormiva il piccolo due spiedi a croce adagiati su un treppiede rovesciato. La disposizione contraria al normale uso di questi attrezzi avrebbe disorientato sa coga distraendola dal suo obiettivo.
E’ possibile anche sfruttare una debolezza della strega-vampiro: non riesce a contare oltre il numero sette.
Per questo motivo basta mettere vicino alla porta della camera da letto, o alla finestra una falce dentellata o un barattolo pieno di chicchi di grano.
La strega passerà la notte a contare i dentelli o i chicchi, ricominciando da capo ogni volta sino all’alba, in cui dovrà abbandonare per forza la casa.

In alcuni paesi, come ad Ales, con il termine SISINNIA COGA, venivano indicate le donne calunniatrici, malelingue, oppure le donne che si vestivano come le zingare.
Si racconta che le vecchie donne in occasione dei battesimi raccoglievano il cotone intinto d’olio santo che il prete gettava per terra dopo il rito. Si cospargevano di quest’olio e da quel momento, la notte, volando, andavano dai neonati per succhiare il loro sangue.

CUARBEDDU

Scaltrissimo braccio destro del Diavolo. Il suo passatempo preferito è rubare tutto quello che trova.
La sua casa, che condivide con il demonio, si trova in una località tra Triei e Baunei, chiamata Sa rutta e su Tiaulu, in zona “Funtanedda“. L’aspetto è simile a quello del Diavolo ma si dice che sia più agile e più furbo del suo famoso padrone.
Agisce soprattutto nelle notti d’estate quando, a causa del caldo, le finestre vengono lasciate aperte.

DIAVOLO

In Sardegna il Diavolo assume i nomi più disparati legati alle sue caratteristiche o al tipo di manifestazione.
I più comuni sono DIAULU, DUENGU, DEMONIU, AREMIGU, LU BEKKU, ZAMPA DI ADDU, COIXEDDA, COA DE FOGU, BESTIA, PUZZINOSU, TENTADORI, FORAS DE NOSU, FORAS DOMINE, BOBBOI, MOMOTTI, MASCHINGANNA, BRUTTU.

A parte i più comuni, gli altri sono perifrasi per non nominarlo direttamente, in quanto il contrario lo farebbe immediatamente comparire.
Lo si indica perciò citando qualche sua caratteristica o facendo riferimento al suo modo di manifestarsi (becco, zampa di gallo, codetta, coda di fuoco, puzzolente), o si ricorre ad un nome-scongiuro (foras-domine, foras-de-nosu).

Questo diavolo che si materializza al solo farne il nome, viene immaginato e descritto nei suoi rapporti con gli uomini piuttosto che nel suo naturale ambiente infernale.
I moltissimi racconti sulle apparizioni del diavolo che è possibile ascoltare ancor oggi, descrivono le forme ingannevoli con cui si manifesta: una vecchia, un bambino piangente che, al nome di un santo o al segno della croce, si trasformano in una lingua di fuoco, un bue incatenato, un cane, un caprone, un cavallo, un cinghiale, un gallo, un vento impetuoso, e così via.

Gli improvvisi incontri col diavolo sarebbero frequenti specialmente la notte del Sabato Santo, la vigilia di San Giacomo e di San Giovanni Battista, ed avverrebbero di preferenza nei crocevia, nei cimiteri, presso le chiese sconsacrate, sotto le piante di fico.
Anche se, per sua natura, il diavolo dovrebbe agire per impossessarsi dell’anima degli uomini o per indurre a commettere peccato, nella leggenda sarda più che di patti col diavolo e di forme di possessione, si parla di incontri con il “nemico” che provocano spavento e di conseguenza, debilitazione fisica e psichica.
Anche malattie considerate diaboliche – certe malattie mentali, forme isteriche, l’epilessia – restano turbamenti della personalità che non comportano necessariamente una malvagità del malato o un suo peccato da scontare.
È lo spavento dell’incontro con il diavolo, incontro inevitabile e imprevedibile, che lascia queste tracce.

Coixedda era un nomignolo del diavolo e lo si diceva quando spariva qualcosa.
Non s’intendeva un essere cattivo, diabolico, ma piuttosto un furbacchione dispettoso che faceva andare male le cose.
Gli animali avvertivano la presenza del diavolo e quando questi si rifiutavano di passare in certi punti era perché ne vedevano l’ombra. A quel punto anche gli uomini prendevano altre vie.

Ad Ales si racconta che un giorno i buoi di un contadino che arava i suoi campi, si rifiutarono, fermandosi e agitandosi, di passare in un punto. Quel giorno secondo lui i suoi buoi avevano visto il diavolo.

Tuttavia, questi diavoli e diavoletti sempre presenti, qualche volta possono essere anche benefici; si racconta infatti che essi custodiscono tesori, da soli o con l’aiuto dei loro alleati: Luxia Arrabiosa, sa musca macèdda, una serpe, un’anima dannata, un cane nero, o s’iskultone, una specie di basilisco descritto come un grosso rettile o come un drago con la coda di bronzo e lo sguardo che uccide.

DRULLIOS

Abitano la gola infernale di Gorruppu, dalla quale escono durante le notti di temporale per fare razzia di bestie, uomini e distruggendo i pinnettos del Supramonte.

ERCHITU

Ha l’aspetto di un toro enorme che presenta due corna d’acciaio o con due candele accese infisse in corna normali.
Trasformarsi in Erchitu significa aver commesso gravi peccati che non sono stati puniti dalla giustizia terrena, e, per questo, puniti dalla giustizia divina a vagare ogni notte a seguito di un’orda di demoni.
L’uomo – animale dovrà fermarsi, a comando del capo del gruppo, davanti alla casa di qualcuno destinato a morire di li a poco, e muggire tre volte.
La maledizione può essere spezzata solo se qualcuno che, estremamente coraggioso, riuscirà a tagliare di netto le corna d’acciaio o a spegnere le fiammelle delle candele.

GENTILES

Sono i più antichi abitatori dell’isola (ANTIGUS ANTIGOS), di statura gigantesca e forza sovrumana, hanno in genere un bell’aspetto, in alcune paristorias (leggende) si dice che avessero un occhio solo.
Alcune grotte dell’interno, secondo qualche pastore, conservano i segni del loro passaggio.
A loro si deve la costruzione dei monumenti funerari megalitici.
In alcune leggende si racconta che ricevettero da EUSUPRIMUSONNENDI l’incarico di pastori della terra, per prepararla alla presenza dell’uomo. Uomo che in antichità ha avuto rapporti con queste figure leggendarie, e che da loro ha imparato a costruire le case di pietra, i NURAGHES.
Oggi il loro compito di pascolare la terra non è venuto meno, ma non si fanno più vedere dall’uomo con il quale non hanno più alcun rapporto. I numerosi incendi, la siccità, sono i segni del loro costante allontanamento. Si nascondono, secondo un pastore di NURAXI NIEDDU, tra i pochi alberi fitti rimasti in Barbagia.

LUXIA RAJOSA

Altri nomi: LUXIA ARRABIOSA, ORGIA, GIORGIA, GIOLIZIA, GORGIA, JORGIA, ZORZA, LUGHIA
E’ un personaggio mitico femminile della tradizione narrativa sarda, che si ricollega alle più varie argomentazioni seppure la sua presenza si intuisce maggiormente radicata quando si tratta di pietrificazioni punitive.
Di lei si parla in tutta la Sardegna, chiamandola con i nomi più diversi.
Una leggenda di Ales racconta di come Luxia faceva il pane. Un giorno disse alla figlia di portarne un pò al padre che lavorava in campagna.
La figlia si rifiutò dicendo che la strada da fare era troppa e Luxia le lanciò il forcone che rimase conficcato nel terreno, tramutato in pietra.

ISKULTONE

Viene chiamato anche SKRUTZONI, ed è una sorta di versione sarda del Basilisco. Secondo alcuni si tratta di uno Stellione (o Tarentula Mauritanica), mentre secondo altre fonti si tratta di un serpente o di un rettile di grosse dimensioni, altri ancora lo descrivono come un drago con la coda di bronzo.

«Nelle campagne del mio paese mi capitò di trovare un animale simile al serpe comune, solo che aveva quattro zampette, due vicino alla testa e due vicino alla coda. Al mio paese questo rettile si chiama scurzone che vorrebbe dire scorciato (da curzo, cioè corto)…». Così lo descrive Antonio Gramsci che da bambino incontrò il mitico animale nelle campagne di Ghilarza.

JANAS

Le Janas sono le fate del mondo fantastico sardo.
Eccetto che per alcune regioni dove mantiene il suo aspetto vampirico, la jana ha comportamenti tipici della sfera fatata.
Solitamente vengono descritte come di piccole proporzioni, vestite di rosso vivo, con il capo coperto da un variopinto fazzoletto, ricamato con fili d’oro e d’argento.
Al collo portano grandi collane d’oro lavorato a filigrana. Si dice che siano di una bellezza abbagliante, con una pelle delicatissima.
Di giorno non escono mai; il sole, per quanto pallido, le scotterebbe facendole morire.
Abitano in piccole grotte sui costoni delle alture sarde; le case delle fate sono conosciute come domus de janas, dentro ogni cosa e a misura di jana: il mobilio, le suppellettili, tutto.
La loro vita trascorre in gran parte a filare il lino, a tessere, ovviamente su telai d’oro, e a cucire stoffe preziose che trapuntano con fili d’oro e d’argento.
Di notte, quando e luna piena, stendono i panni sui prati ad asciugare.
Alcuni dicono che tramite i veli stesi alla luce della luna, incantassero di meraviglia il viandante che veniva quindi rapito da servili nani crudeli.
Queste leggende ricordano da vicino quelle più nordiche del Cerchio delle fate o delle grotte fatate.
A Cabras, quando c’era la luna, scendevano dalle montagne a chiedere il lievito per fare il pane.
Era l’unico modo per far lievitare il loro pane perchè si dice che il lievito che vede la luna, e quello delle janas lo vedeva, non può lievitare.
La notte scendono nelle case degli uomini, si accostano alle culle e a volte cambiano l’intensita della loro luce. In tal modo stabiliscono il destino del bambino, nessuno sa come decidano se un bambino sara fortunato o meno, ma e certo che lo facciano.
Ancora oggi quando si incontra una persona fortunata si dice che e bene fadada, di quella sfortunata, invece, si mormora che è sicuramente mala fadada.
Le janas in qualche paese sono piu cattive e dispettose e i paesani le chiamano mala janas.
Le mala janas (a dirlo veloce si corre il rischio di pronunciare margiana) sono crudeli, ma qualcuno le confonde con i margiani e le janas e muru o e mele (fate del muro e del miele) ovvero le volpi e le donnole.
A volte abitano anche i nuraghi e in questi casi non sono minute ma anzi gigantesse dagli enormi seni.
In alcuni paesi hanno quindi caratteristiche negative, come a Tonàra, Isilli e Asùni, dove vivono in caverne, rapiscono i bambini e hanno una regina, Sa Jana Maìsta, che assale gli uomini che passano vicino alla sua grotta per succhiargli il sangue e poi rinchiudersi nella caverna e partorire dei figli.

MAMA E SU BENTU

Viene descritta come una bellissima donna che fluttua nel vento è afferra e porta via con i suoi lunghissimi capelli i bimbi che si aggirano per le strade nelle giornate di forte vento.

MAMA E FUNTANA

 

MAMA E SU FRIUS

Nelle fredde giornate invernali, per le vie dei paesi si aggira Sa Mama e su frius.
Fa congelare l’erba e i germogli ed attende per giorni che qualche bambino si aggiri per le vie del paese per avvolgerlo con il suo mantello di neve dai riflessi azzurri.
Ha i capelli fatti di ghiaccio e porta a morte per congelamento chiunque venga ghermito.

MAMA E SU SOLE

Porta via i bambini che si aggirano per le strade nelle ore soleggiate della giornata.

MARIA FARRANCA

Altri nomi con cui è conosciuta sono MARIA ABBRANCA, MAMMA E SU PUTZU, MARIA FRANCA E’ ERRU, MARIA MANGROFA, STREGA E’ FUNTANA, MARIA PETTENEDDA
Maria Farranca abita nelle fontane, nei pozzi e nei corsi d’acqua, pronta ad afferrare con le sue mani adunche e quindi divorare i piccoli che si azzardano guardare, anche per un istante l’acqua contenuta all’interno dei pozzi, oppure che si limitano a giocare nelle vicinanze di un corso d’acqua.
Maria Abbranca custodisce le sorgenti di Su Gologone e tira giù, nel fondo delle limpide acque, i bimbi capricciosi.
Maria Mangrofa abitava in un pozzo munito di tunnel. Col tempo si trasformò in un demone femminile con un lungo braccio simile ad un uncino di ferro , col quale tirava i bambini nel fondo.

MARIA ORTIGHEDDA

Maria Ortighedda è una donna che si aggira nelle campagne a raccogliere ortiche che mette in un grande tascone presente nel suo grembiule.
Rincasando presta orecchio a sentire se qualche bambino disubbidisce ai genitori.
In caso positivo prende il malcapitato e lo porta via mettendolo insieme ai fasci di ortiche nel grembiule.

MARIA PUNTAORU

Per i bambini troppo golosi si diceva che arriva Maria Puntaoru, una donna armata di spiedo che usa per aprire le pance degli ingordi e portare via tutto quello che hanno mangiato.

MASCHINGANNA

A Dualchi MASKRU DE INGANNU, INGANNADORI
Si tratta di un particolare demone burlone dedito a far spaventare gli uomini, senza far comunque loro del male fisico. Si dice che sia uno degli esseri custodi degli Scusorgius, i tesori nascosti.
In Sardegna agisce prevalentemente nel mondo agro-pastorale, rendendosi protagonista di innumerevoli storie, prendendo di mira generalmente contadini e pastori.
Ha la capacità di assumere qualsiasi sembianza, speso quelle di un bambino o di un animale, ma può manifestarsi anche solo con la voce.
In diversi racconti si presenta come un fanciullo con degli zoccoli al posto dei piedi, come gli Augurielli, folletti diffusi in gran parte dell’Italia meridionale, o il bruttissimo Barabao veneto.
Si diverte a combinare scherzi di ogni tipo alla malcapitata vittima o agli animali che questa custodisce.
Il Berlic valdostano di notte si introduce sotto forma di un’ombra nelle stalle, creando scompiglio tra mucche, cavalli e capre, mentre il Beilhund del Trentino ha l’aspetto di un manico d’ascia e la testa a forma di scure.
Si diverte a sostituirsi all’accetta del contadino, scomparendo ridendo e fiammeggiando quando qualcuno tenta di afferrarlo per tagliare la legna.
Il Linchetto toscano invece si nasconde nei tini al tempo della vendemmia, si diverte ad intrecciare la coda ai cavalli o a bussare alla porta durante la notte.
Su Maskinganna compie anche azioni positive, talvolta dando avvertimenti utili agli esseri umani.
Si narra che un pastore avesse sconfinato col suo gregge di pecore in un altro terreno non suo.
Sedutosi all’ombra di una pianta di Fico udì da prima un brusio, e pian piano una voce ben distinta che lo avvisava di badare al gregge e di spostarlo perchè stava arrivando il padrone del terreno.
Il pastore si alzo di scatto cercando la persona che aveva parlato, e non vedendo nessuno, spaventato si affrettò comunque a radunare il gregge e riportarlo sul suo appezzamento di terra.
Sapeva di aver appena avuto a che fare con Maskinganna ma, memore dei racconti sentiti dal nonno, ne seguì comunque il consiglio.
Infatti, sulla via del rientro, incrociò proprio il padrone del pascolo in cui aveva sconfinato il gregge.

In un agriturismo nel paese di Sadali si racconta sia presente uno di questi folletti.

MOMOTTI

Solitamente viene descritto come un uomo vestito con un lungo mantello nero con cappuccio che cela gli occhi. Utilizza un nodoso bastone e porta un paio di scarponi neri e malconci.
Ha una folta barba e se si riesce a vederlo senza cappuccio il suo sguardo è terrificante.
Passa di casa in casa ascoltando se qualche bambino fa i capricci.
In alcune zone della Sardegna viene anche descritto come un folletto malvagio e brutto che insegue e spaventa i bambini che non rincasano prima del tramonto.
Se riesce a catturarli li infila in un sacco e con un coltellaccio che porta appeso alla cinta taglia a fette le prede per mangiarsele. In alcune zone della Sardegna viene associato al Diavolo.
Altri nomi: Bobbotti – Babborku – Bobboi – Mammone.

MUSCA MACEDDA

La “Musca Maccedda” (Maghedda e Mahkedda in logudorese e nuorese) dovrebbe significare “la mosca che macella”, ossia macellaia.
Si tratta di una leggenda diffusa in tutta la Sardegna con varianti relative sopratutto alle dimensioni e all’aspetto.
Alcuni dicono abbia le apparenze e le dimensioni di un tafano, altri dicono che si tratta di una mosca dalle proporzioni enormi (grande come la testa di un bue) generalmente fornita di un pungiglione velenosissimo, di ali potenti, il cui ronzio viene sentito per alcuni chilometri.
La minaccia della Mosca Macedda è subdola, spesso si nasconde in un tesoro, della quale si fa custode, in attesa di qualcuno che la risvegli. Spesso mosca e tesoro sono nascosti in due contenitori diversi, così da dare una possibilità di sopravvivenza al ricercatore di tesori. Si dice anche che i terribili insetti custodiscano i tesori delle Janas, intente a filare sui loro telai d’oro.
Probabilmente la leggenda nasce dalla zanzara anofele, importata in Sardegna dai romani, che con il suo pizzico trasmette la malaria.

ORCU

Come nelle migliori tradizioni fantastiche, anche in Sardegna non poteva di certo mancare l’Orco.
Questi abitavano principalmente i Nuraghe ed infatti molte sono le torri nuragiche che hanno appunto come nome “Sa dom’è s’Orcu”.
Venivano descritti come di grande statura, molto robusti e con braccia lunghe e pelose.
Ne avevano tutti paura, ma soprattutto i bambini che, in tempi ormai remoti, quando accudivano le greggi, ponevano addirittura dell’erba in mezzo ai campanacci per evitare qualsiasi rumore quando transitavano nei pressi delle imponenti strutture megalitiche.
Il rumore poteva infatti far uscire i massicci orchi all’aperto e, come ogni orco che si rispetti, erano ghiotti di carne umana.

PANAS

Conosciute anche come PANTAMAS
Triste la sorte delle Panas, spettri di donne morte durante il parto, condannate a tornare sulla terra per sette anni, nelle ore notturne, per recarsi lungo un corso d’acqua a lavare i propri panni insanguinati o quelli del proprio figlioletto.
In molti sono pronti a giurare di aver scorto le Panas fra l’una e le tre del mattino, mentre lavavano e cantavano una tristissima ninna-nanna.
La loro condanna implicava l’assoluto divieto di parlare o di interrompere il lavoro: in caso contrario esse dovevano ricominciare daccapo il tempo della penitenza. Pertanto, se venivano disturbate da qualcuno mentre erano intente a lavare, le panas si vendicavano spruzzandogli addosso dell’acqua, che però bruciava come fuoco.
Per questo motivo le donne sarde non andavano mai a lavare i loro panni durante la notte.Se la morte di una giovane donna durante il parto colpiva una famiglia, per evitare di condannare la donna ad un simile castigo, i familiari usavano mettere nella bara della puerpera un paio di forbici, un pettine e un ciuffo di capelli del marito, in modo che avesse l’occorrente per cucire gli indumenti del proprio bimbo.
In questa maniera, avendo un lavoro da eseguire, non sarebbe andata in giro durante la notte. Provvista di questi oggetti la pana avrebbe potuto rispondere alle compagne che la invitavano ad andare lungo i corsi d’acqua insieme a loro: “Non posso perchè sto cucendo; Non posso perchè sto pettinando mio marito“., oppure i familiari lavavano per sette anni consecutivi un camicino o una fascia di neonato e la mettevano ad asciugare, credendo di alleviare in tal modo la pena della defunta.

PALPAECCIA

E’ l’antagonista di Maria Puntaoru perchè le sue vittime sono i bambini che non vogliono mangiare. Di notte si introduce nelle camere dei piccoli e pone un pesante masso sulle loro pance.

PASCIFERA

Essere fantastico legato alla selvaggina che protegge.
Nella Barbagia meridionale viene chiamato su pascifera, cioè il pastore della selvaggina.
Avverte i mufloni dei pericoli imminenti, o fa deviare i cacciatori con false apparizioni.
Capita che qualche volta distragga lasciando la via libera ai predatori della foresta o ai cacciatori.
A Nurri è conosciuto come su straivèra mentre a Donori come su vascifèra.
Un nostro lettore racconta che ad Asuni, fino ai primissimi anni settanta, all’atto del primo pescato (anguille) nel fiume capitava che i vecchi ributtassero in acqua le prime anguille segnandosi con il segno della croce: la prima era offerta a “Su maschinganna“; la seconda era offerta a “Sa pascifera“.
Era un rito propiziatorio molto praticato. Leggi anche Su Pascifera, il guardiano dei boschi sardi

PROCESSIONE DEI MORTI

Conosciuta anche come :LA REULA , BALLO DEI MORTI
Ogni zona della Sardegna riporta delle differenze in merito alla stessa leggenda.
In Gallura si racconta che le anime dei morti, sepolti in cimitero o nelle cripte presenti in passato in quasi tutte le chiese, andassero in giro la notte per fare penitenza.
Vestiti con una lunga tunica bianca vagavano per le viuzze dei paesi, scacciando al loro passaggio il buio della notte con la luce tremolante delle candele che tenevano in mano.
Se sfortunatamente ci si imbatteva in questa terribile processione, poteva anche capitare di vedere tra le anime in movimento lo spirito di un vivente.
Era un cattivo auspicio in ogni caso ma se la processione si muoveva lungo una strada in salita colui il quale lo spirito vagava fuori dal corpo, sarebbe morto entro l’anno, mentre se la processione si muoveva in discesa, avrebbe “solo” patito una lunga malattia.

L’ultimo della fila dei morti veniva soprannominato “lu zoppu“, il quale non riusciva mai a raggiungere le altre anime correndo quindi il rischio di non completare la sua penitenza.
La regola infatti stabiliva che la processione non potesse partire prima di mezzanotte mentre il rientro doveva necessariamente avvenire all’alba.

Il malcapitato che incontrava sa reula poteva ritenersi fortunato se se la cavava solo con un pestaggio, portando i lividi (li pizzichi di li molti) per diverso tempo.
L’unico modo per scampare alla furia dei defunti era quella di riconoscere tra loro un parente o un compare il quale avrebbe consigliato di stare sul ciglio della strada, possibilmente sopravento e a monte della processione in modo da non sentire il fetore dei morti e non essere notato da questi.

Per complicare la cosa, avrebbe dovuto farsi il segno della croce e recitare le dodici parole di San Martino, avendo cura di non sbagliare.
Talvolta la visione di questi spiriti inquieti causava nel malcapitato uno spavento tale da non riuscire più a proferir parola.
La cura popolare consisteva nel tagliare in croce quattro ciocche di capelli: una dalla nuca, una dalla fronte, una dalla tempia destra e una dalla tempia sinistra.
Si doveva quindi pulire un tratto del focolare in cui mettere i capelli tagliati per essere bruciati.
Una parte della cenere così ottenuta si poneva dentro un bicchiere con dell’acqua che la persona ammutolita doveva bere in modo da essere liberata dalla paura e poter quindi raccontare la terribile esperienza.

In altre zone dell’isola invece si crede che i morti non facciano nulla di male, piangono e si lamentano. Chi vede le processioni dei morti racconta che questi, composti, si rechino uno dietro l’altro cantando o in silenzio, verso la casa dove morirà qualcuno.
Una volta arrivati entrano tutti dentro o si fermano sulla soglia ed entra solo uno o due di loro, dopo di che se ne vanno. Qualche volta tengono nelle mani delle candele accese e spesso sono accompagnati da cani neri che a grandi falcate li precedono.

L’arrivo della processione dei morti è preceduta da alcuni fenomeni naturali come: il soffio del vento che produce un sibilo, ululati dei cani, pioggerella.
Quando una bidemortos sta per spirare tutti gli spiriti che lei ha visto durante la sua vita vengono a prenderla, così si udirà improvvisamente soffiare il vento e i cani inizieranno a ululare.
Quando tutto sarà finito scenderà un silenzio sacro sulle cose e sulle persone.
La processione dei morti era un fatto risaputo e normale, com’è normale nelle credenze sarde che l’anima, tre mesi prima di morire, senta nel profondo che il tempo di permanenza sulla terra è finito.

Nel breve arco di tempo in cui si vaga tra il mondo dell’aldilà e il mondo dei vivi, capita che qualcuno veda l’anima della persona al ballo dei morti e capisca da questo che il tempo è arrivato.
Per vedere i morti, tante volte, basta sovrapporre il proprio piede al piede della persona che li vede.
Qualcuno a Tertenia dice che se si sente un cane ululare, anche di giorno, vuol dire che vede la processione dei morti: a questo punto basterebbe posare il piede sulla zampa del cane per vederli a nostra volta.

Vi sono luoghi che servono per i congressi delle anime, tutti li conoscono e li rispettano con un timore riverenziale. Dolores Turchi riporta i racconti di tzia Nennedda, una bidemortos, tra i quali vi è proprio il ricordo di un luogo presso la contrada di Bitti chiamato S’annossata (l’annunziata).
In quel luogo numerose famiglie si recavano al santuario per assistere alla novena, ma la caratteristica del posto era che vi si recavano le anime dei morti.
Si partiva di notte, senza scarpe e con i capelli sciolti.

Qualcuno vedeva le anime arrivare in processione verso la chiesa, presso la quale si trovavano tre teschi che venivano posti ogni sera lungo il passaggio. La cerimonia avveniva a lume di candela e i crani avevano il compito di ricordare che tutti dobbiamo morire.
I Sardi, d’altronde, usavano spesso ossa per curarsi o farne amuleti, così come non temevano i cimiteri per ballare o prelevare teste di morto per il rito della pioggia. Si attingeva dall’ossario per ricavarne portafortuna da appendere al collo contro l’epilessia.

PUNDACCIU

Anche : BAOTTU DE SETTI BERRITTAS (FOLLETTO DALLE SETTE BERRETTE), MATZAMURREDDU, MOSCAZZU
E’ un folletto dispettoso di aspetto goffo e grasso, alto come un bambino di due o tre anni.
Si diverte a tormentare gli esseri umani sedendosi sul loro petto durante il sonno e per questo motivo talvolta viene confuso con s’Ammutadori.
Prende diversi nomi in base alle varie parti dell’isola ma il nome con cui è maggiormente conosciuto è “folletto dalle sette berrette”.
Corre velocissimo appena sfiorando il terreno, la superficie dell’acqua o del bosco, e varcando a volo qualsiasi ostacolo che gli si pari davanti.
Si posa lieve dove gli pare, non solo sul terreno, ma indifferentemente sugli alberi, sui tetti, sull’acqua, su scogli o picchi di roccia.
Può apparire all’improvviso dovunque, sotto qualsiasi forma, e scomparire all’istante.
Si crede che durante il giorno questa creatura dispettosa se ne stia ben nascosta nelle viscere della terra, dove custodisce pentole piene d’oro e altri tesori favolosi.
Tali tesori non appartengono quasi mai al folletto, ma sono da lui stati rinvenuti nelle profondità della terra e il più delle volte erano destinati, per volontà di chi li aveva nascosti, alle persone di cui si prende gioco.
Uno dei modi per rendere innocuo questo demonietto, e impossessarsi così delle sue ricchezze e dei tesori che porta sempre con sé, consiste nello svegliarsi mentre siede ancora sul proprio petto, sottraendogli con velocità e destrezza una qualsiasi delle sette berrette.
Se si riesce a prendergli il cappuccio, è costretto, per riaverlo, a rivelare un tesoro nascosto.
Tuttavia non cede facilmente: egli vi va dietro e attorno, chiedendolo, con un pianto che fa molta pena e con tante promesse di ogni bene. Occorre essere molto furbi ed avere un cuore di pietra per resistere a quel pianto e a quelle promesse. Perciò in genere il folletto riesce a farsi restituire il suo cappuccio.
Dopo che lo ha riavuto, non solo non mantiene le promesse, ma si dilegua per non riapparire mai più.
Si narra che ad Isili un bambino riuscì a farsi consegnare un tesoro gettando al collo del folletto un rosario.

STRIA

Secondo la tradizione popolare la stria è l’uccello del malaugurio impersonato o dalla civetta o dal barbagianni, con la sua comparsa preannuncia una disgrazia.
Ad essa vengono attribuiti poteri malefici che sfociano in una vera e propria malattia se, durante il suo volo, passa sopra la testa di una persona.
Gli effetti della cosiddetta striatura sono riconoscibili negli occhi e nel viso del malcapitato che presenta il pallore tipico dell’itterizia.
Per diagnosticare la malattia è necessario controllare che l’altezza della persona corrisponda alla misura dell’estensione delle sue braccia, la misurazione avviene con del filo da imbastire bianco, in caso di squilibrio si procede al rito di guarigione che cambia da una zona all’altra dell’Isola.
In alcune zone si bruciano le piume del rapace notturno riducendole in cenere da versare nel caffè che andrà somministrato al malato; in altre zone l’operazione si compie nella fase terminale del ciclo lunare e insieme alle piume si brucia anche il filo utilizzato per la misurazione, con il fumo che si crea si segna la croce sopra il malato mentre si recitano i brebus (formule magiche), infine le ceneri si mischieranno, come nel caso precedente, al caffè che il malato dovrà bere a digiuno la mattina seguente.

SURBILE

Al femminile nota come SA SURTORA
Su Surtore era un uomo bestia, come unu “proccu” un maiale, temuto dalle mamme de “sos pippios pittios”, dei bambini piccoli, poichè aveva il potere di trasformarsi in un esserino minuto minuto, passare attraverso la toppa della chiave per entrare nella stanza dei neonati e suggere tutto il loro sangue.
Contro su surtòre (e contro gli altri esseri fantastici maligni e le streghe) erano efficaci gli oggetti benedetti, ma anche i fucili o arnesi vari, come sa cavana, la roncola, sa pudatza, il falcetto, sa frocidda de linna, il forcone di legno, su trebutzu, il forcone a quattro o sei rebbie di ferro, su frucconi, l’attizzatoio in legno, su trebini mannu e su trebineddu, i treppiedi in ferro per abbrustolire o arrostire nel caminetto, rigorosamente disposti con i piedi all’insù, is iskidonis, gli spiedi e in genere gli oggetti a punta ed infine is iskovas, le scope che catalizzavano magneticamente gli sguardi degli esseri fantastici costringendoli ad arrestarsi.
A volte su surtòre si avventava anche sulle partorienti
E’ possibile assocciare questo temibile personaggio fantastico alla serie di vampiri della tradizione sarda, ed in particolare a quell’oscuro personaggio femminile che è la sùrbile o la coga, specializzata nel succhiare il sangue.

TRAGACORGIOS

Nella notte samughese si muoveva un altro essere tenebroso, nunzio di morte.
Veniva a portarsi via qualcuno e sceglieva le notti più oscure, trascinando la pelle rinsecchita di un animale con la testa ancora attaccata.
Mentre avanzava la pelle strisciava sul selciato producendo un rumore sordo che incuteva terrore in tutti coloro che l’udivano.
Nel silenzio della notte su tragacorgios, cosi era chiamato a causa delle pelli che trascinava, vagava per le vie del paese e la gente, paralizzata per la paura, pensava che si trattasse di un anima che non trovava pace, costretta ad andare qua e là senza riposo e che il rumore che provocava fosse l’annuncio di qualche imminente disgrazia.
Ogni tanto si faceva una messa speciale, sa missa ‘e s’arretiru, celebrata da sette preti, per costringerlo a ritirarsi dal paese.
Una notte d’inverno un giovane balente, che non aveva paura neppure del diavolo, udendo il secco rumore delle pelli che venivano trascinate, usci di casa e s’inoltrò nel buio delle viuzze cercando di individuare donde provenisse il rumore. Fu cosi che vide un’ombra grandissima che sfregava sui muri delle case un enorme paio di corna.
Si trattenne dal fuggire per vedere dove si sarebbe fermata.
Dopo alcune decine di metri la nera figura sostò presso una casa, poi si allontanò. L’indomani in quella casa morì una persona.

TRAIGOLZU

“Su Traigolzu” pare fosse una sorta di minotauro che alla mezzanotte tra il 14 e il 15 agosto, scioglieva le sue catene ed emergeva dalle profondità del mare, per tornare ad essere incatenato alla mezzanotte tra il 15 e il 16.
In queste 24 ore andava in giro a fare danni.
Il giorno di ferragosto era pericolosissimo fare il bagno al mare, perchè si poteva essere afferrati dal mostro e affogare, e non contento, al calar del sole, girava per le vie del paese tirandosi dietro le sue catene, in cerca di anime (e corpi) da trascinare con se nelle profondità marine.
Nel paese di Sindia, vicino a Macomer si dice che si manifesti la notte del 15 agosto per le vie del paese.
La creatura dovrebbe sembrare una specie di drago e si dice che faccia molto rumore al suo passaggio, infatti quando una persona è molto rumorosa si dice assomigli a una di queste creature.

TZIU MASEDU

Questo personaggio rappresenta il sonno ed è raffigurato come un vecchietto burbero che non vuol sentir fiatare durante le ore di riposo.

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