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Storie del passato

Le antiche popolazioni hanno lasciato sulla costa numerose tracce del loro passato. Per esempio a Perdas Albas (Capo pecora) sono evidenti le tombe dei giganti, le torri costiere, i nuraghi e le banchine d’approdo di vecchie tonnare.

La presenza di antiche civiltà è testimoniata da significativi ritrovamenti all’interno delle numerose grotte presenti nel territorio e utilizzate, probabilmente, come luogo di culto, riti propiziatori come la prostituzione sacra e profezie.
I popoli si spostavano per motivi commerciali, militari e religiosi; navigavano in tutto il mediterraneo e proprio questi posti, ricchi di anfratti, grotte (cripte) e miniere  diventavano luoghi di culto e meta di pellegrinaggio. Purtroppo, i nuovi conquistatori imponevano nuovi modelli sociali e cancellavano il passato oscurando la realtà storica e religiosa delle popolazioni indigene.

 

Nell’antichità, i contatti più frequenti con gli altri popoli, venivano dal mare, ma il mare poteva nascondere spiacevoli sorprese …  e così il  continuo attacco costrinse le genti del posto a trasferirsi verso l’interno e costruire dei punti di vedetta lungo la costa. I territori della “Valle della Calamina” furono oggetto di feroci incursioni, i giovani e le donne erano fatti schiavi, i vecchi e coloro che risultavano d’intralcio venivano decapitati e abbandonati sul posto.

Intorno al 1570 gli spagnoli idearono, per primi, un sistema continuo di torri lungo tutta la costa della Sardegna utile a segnalare l’arrivo dei pirati provenienti soprattutto dal nord Africa.
La torre di Cala Domestica era una torre di medie dimensioni in stretto contatto con quelle di Portoscuso, Carloforte, Porto Paglia e Flumentorgiu.  La cima del monte che sovrasta Perdas Albas era chiamata “Sa punta ‘e su Guardianu” e costituiva un importante luogo d’avvistamento capace di controllare la costa dall’isola di San Pietro fino a golfo di Oristano.
In una storica e sanguinosa incursione dei pirati nella costa sud occidentale, avvenuta il 7 ottobre del 1798, la popolazione di Carloforte subì la cattura di 933 abitanti molti dei quali furono fatti schiavi e tenuti prigionieri per ben quattro anni in Africa…
Fra i rapiti figurava Francesco Maria Asquer, erede del visconte Gessa di Villa di Chiesa (Iglesias) e feudatario dei territori compresi nel tratto costiero del “Salto di Gessa”.
La presenza del visconte Asquer di Flumenmajor rappresentò un ostacolo alle trattative per la liberazione dei rapiti perché considerato un personaggio ostile ai piemontesi che, a quel tempo, dopo la  famosa cacciata dal castello di Cagliari, avevano ripreso il controllo del governo dell’isola. Francesco Maria Asquer aveva guidato la rivolta del 28 aprile 1794 anche perché, con il dominio sabaudo, la sua famiglia rischiava di perdere alcuni importanti privilegi accordati dagli spagnoli.

Per questo motivo i piemontesi non vedevano di buon occhio la sua liberazione e intenzionalmente ne ostacolarono le trattative. Gli Asquer, per poter pagare il riscatto, furono costretti a ipotecare i loro territori del Salto di Gessa e di Flumenmajor. Una volta raccolti i fondi necessari, “Buttafuoco”, come era soprannominato Francesco Maria Asquer, tornò nell’isola e qualche tempo dopo sposò la nobildonna Maria Anna Corrias di Villa di Chiesa non riuscendo mai più a tornare in possesso del feudo appartenuto alla sua famiglia fin dal 1421.
L’incursione del 1978 fu l’ultima razzia dei pirati nei territori attorno alla “Valle della Calamina”. Da allora i pescatori carolini, anche per motivi di sicurezza, fecero chiudere le antichissime tonnare di Perdas Albas e Cala Domestica situate a nord della loro  splendida isola.

Tratto da “La Valle della Calamina” di Roberto Fadda