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Spaccato di vita a Monte Narba

i fantasmi di Monte narba
Foto Andrea Gambula – Http://www.3stops.com – http://www.pietresupietre.it

Dopo il nostro articolo su Monte Narba ci ha scritto un nostro lettore che ha raccontato di come ha vissuto per alcuni anni nel vecchio villaggio minerario di San Vito. Vogliamo riportare la sua storia per far immaginare anche a voi come doveva essere la vita in quel piccolo borgo ora invaso dalle erbacce e minacciato dalle frane, destinato lentamente a scomparire, ora abitato solo da ombre. Buona lettura.

“Per circa 6 anni e precisamente nel periodo compreso tra l’agosto del 1947 ed il settembre del 1952 ho avuto la fortuna di abitare nella borgata dell’ex miniera di Monte Narba dove la mia famiglia si trasferì dalla Toscana per motivi di lavoro di mio padre.

In un primo periodo abbiamo abitato nella palazzina della direzione della vecchia miniera della quale ancora ricordo gli stucchi e gli affreschi che adornavano le grandi  stanze.

Successivamente ci trasferimmo della palazzina degli uffici tecnici dove occupavamo tutto il primo piano per essere più vicini a mio padre che aveva l’ufficio al secondo piano dello stesso edificio.
Dopo la chiusura della miniera, la stessa venne acquistata da una società genovese (Compagnia immobiliare della Torre) che la trasformò in una fiorente azienda agro-pastorale; vennero infatti impiantati vigneti, oliveti, agrumeti e frutteti oltre all’allevamento di alcune migliaia di capi di bestiame ovino e caprino.

Venne valorizzata la splendida foresta di alberi ad alto fusto della superficie di alcune centinaia di ettari (se non ricordo male circa 900 ettari).

La foresta veniva periodicamente pulita del sottobosco e sfoltita ed il legname di risulta veniva utilizzato per produrre carbone da parte di carbonai provenienti dal continente.

Ricordo infatti le lunghe carovane di muli con sacchi di carbone che scendevano dalla montagna dirette a Porto Corallo dove il carbone veniva imbarcato per la Penisola.

Negli edifici della borgata, al periodo suddetto, abitavano oltre la mia famiglia, altre 5 famiglie; la famiglia della guardia giurata, del cantiniere-giardiniere, due famiglie dei pastori, la famiglia di un operaio generico ed il custode delle scuderie) per in totale di oltre 30 persone.

Tutti gli edifici che oggi sono in completa rovina erano in perfette condizioni ed oggetto di periodici interventi di manutenzione.

Ogni edificio era stato riconvertito per precisi compiti senza però modificarne minimamente la struttura.

L’edificio, che ai tempi della miniera era adibito ad ospedale, venne trasformato al piano terra in cantina ed al primo piano in granaio,quello centrale sottostante la palazzina degli uffici tecnici fu adibito ad officina meccanica e falegnameria, quello di fronte all’officina fu adibito ad oleificio , il primo edificio che si trova entrando nella borgata era la scuderia per il riparo dei cavalli e degli altri animali dei calessi, delle carrozze e dei carri agricoli  (con annesso locale per la conservazione del foraggio), i locali delle laverie vennero invece utilizzati come ovile mentre la palazzina antistante le laverie era utilizzata al primo piano come alloggio per le famiglie dei pastori ed al piano terra come caseificio.

Un piccolo locale situato sulla strada che dalla palazzina degli uffici porta alla villa della vecchia direzione venne destinato a cappella dove nel mese di maggio si svolgeva la festa della Madonna di Monte Narba.
Mio padre che aveva la direzione tecnica dell’azienda si spostava quotidianamente da una parte all’altra della stessa per seguire l’andamento dei lavori, e quando ero libero dagli impegni scolastici lo accompagnavo avendo così modo di conoscere tutti i siti e le strutture della vecchia miniera che con il tempo ebbi modo di “esplorare” autonomamente od in compagnia di qualche altro ragazzo del luogo.

Numerose sono state le esplorazioni delle gallerie di Giovanni Bonu e di quelle sboccanti sul piazzale del pozzo di estrazione dove svettava l’imponente torre in metallo con in cima le enormi pulegge utilizzata per il sollevamento dei montacarichi dai vari livelli della miniera.

Questa apparecchiatura era conosciuta coi il nome di “sa macchina manna” e non “sa macchina beccia”.
Alcuni giorni fa, dopo circa 45 anni – risale infatti a metà anni 60 la mia ultima visita a Monte Narba, ho deciso di farvi una visita ma è stata una profonda delusione nel vedere quegli splendidi edifici in completa rovina.
Ho voluto fornirvi alcune notizie che forse esulano dalla storia mineraria ma senza dubbio possono dare una vaga idea di cosa fosse il borgo in quel periodo.

Un cordiale saluto.

Nicola

Ulteriori informazioni dall’ottimo sito http://www.minieredisardegna.it