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Ordari, i fantasmi dopo la strage

Ordari, i fantasmi dopo la strage

Nel febbraio 1851 furono massacrati cinque ragazzi nel mulino di Ordari a Bortigali. « Bella passizzada, signor Antonè », gli gridavano, e i cento soldati che gli stavano intorno riuscivano a stento a contenere la folla.

Il giovane condannato andava lentissimo, i ferri di campagna ai piedi e ai polsi, e solo ogni tanto gettava uno sguardo verso la calca, al di là del muro di militari. Sentiva le imprecazioni, le bestemmie, il suono secco degli sputi.

Tre chilometri a piedi, dalla chiesa di Santa Croce – dove, trasferito dal carcere di Cagliari, aveva trascorso la notte – fino a Ordari. « Tantu s’istrada ja la connoschede vostè, beru signor Antonè? », sibilò, sarcastico, il milite Dettori. Lì, davanti al molino ormai abbandonato, il boia aspettava. C’era la calca, attorno alla forca. Arrivato il corteo, il prete cominciò a recitare le orazioni e un milite levò i ferri al condannato. Il boia lo fece salire sullo sgabello, gli sistemò la corda attorno al collo. Era l’alba del 9 febbraio 1852. Antonio Dessena pagava il suo debito con la giustizia.

Per tanti e tanti anni il pezzo di mondo in cui accadde questa storia venne abitato dalle anime senza pace, quelle buone e pure quelle cattive. Per lungo tempo, qui a Ordari, i pastori non portarono più al pascolo le loro pecore; e le donne che venivano a lavare i panni nel fiume, poggiavano le loro ceste e piegavano la schiena solo nelle pozze più lontane.

A Silanus, ancora oggi i vecchi ricordano le storie che sentivano da bambini, favole popolate di fantasmi, di passanti terrorizzati, di massaie che vedevano volare via i panni stesi al sole, di agnelli impazziti e di cani che udivano strane presenze. «Favole che nascevano dalla paura e dall’orrore per quanto, in quel luogo, era accaduto. Piano piano, quella località della memoria storica del paese è diventata lo spazio dell’immaginario, fino a cadere nell’oblio».

Sessant’anni, ex insegnante, un paio di legislature da sindaco di Silanus, presidente della Provincia di Nuoro negli anni Ottanta – Totore Piras ha scritto un libro ( Ordari-una strage dimenticata ; Delfino Editore) su questo piccolo spicchio di mondo: ha spulciato gli atti, dall’autopsia al processo, e ha messo in fila fantasmi, credenze, paure e leggende. «Oggi, ormai, il nome di Ordari non fa più paura; ma quando ero bambino, negli Anni Cinquanta, la memoria era ancora fortissima. Ricordo bene le raccomandazioni di mia nonna, ogniqualvolta dovevo accompagnare mamma al fiume di Ordari, dove le donne del paese lavavano i panni». Ricordalo fizzu meu, a tua mamma, che non si metta a lavare i panni sotto il ponte della strada. Lì escono le anime.

Quella mattina del 10 febbraio 1851 la notizia volò di bocca in bocca. Cinque ragazzi erano stati assassinati a colpi di pietra nel molino di Ordari. «Tre maschi e due femmine», scrisse il reverendo Salvatore Porcu, sindaco di Silanus, nella relazione inviata al giudice Pietro Spanu Pischedda, titolare del Mandamento di Sedilo e reggente di quello di Bolotana. «I cadaveri sono tutti distesi per terra attorno al focolare…», annotò il medico Bachisio Raimondo Manconi dopo l’autopsia. Erano i corpi martoriati di due ragazzi di Bortigali: Bachisio Raimondo Garau Cherchi, 17 anni; e Salvatore Mele, di 12; e di tre di Silanus: i fratelli Francesco e Angiolina Marongiu, 14 e 10 anni; e Giuseppa Cuccuru Pes, sedicenne.

«I testi – scrisse il medico nella sua relazione – ritengono che la porta sia stata aperta dal di dentro». Furono trovate due grosse pietre, «una più grande dell’altra, intrise di sangue. Una pesante cinque chili salvo sbaglio, e l’altra un po’ più grandetta, in peso chilogrammi sei e grammi seicento». Un giallo. Niente movente, niente testimoni. Il giudice Spanu Pischedda aveva la fama di mastino, ma capì subito che quella brutta storia gli avrebbe dato filo da torcere.

La folla che accompagnò le cinque bare fino al cimitero di San Lorenzo venne ricordata per tanti e tanti anni a Silanus. Quel giorno stesso il giudice convocò i genitori degli uccisi nel piccolo ufficio allestito nella chiesa di Santa Croce, ma non vide granché, al di là delle lacrime. Cominciò ad andare meglio un paio di giorni dopo, quando Bachisio Mele – proprietario del molino della strage, padre del piccolo Salvatore e patrigno di Bachisio Raimondo – gli chiese un incontro.

L’uomo raccontò al giudice quel che gli aveva riferito il compare Giovanni Marongiu, notaio e segretario comunale a Bortigali. «Mi ha detto che, quella notte, il cognato Antonio Dessena rientrava a piedi in paese. Passando da Ordari ha visto la luce accesa e ha pensato di entrare. La porta era aperta: l’ha spinta. Ha visto quell’orrore…». La storia, al giudice Spanu Pischedda, sembrò molto strana: puzzava di depistaggio. Era la stessa che gli avevano riferito i soldati mandati a raccogliere le voci di paese. Antonio Dessena è fuggito spaventato, ha visto tre uomini armati. Ne ha riconosciuto uno: Francesco Obinu, originario di Milis, residente a Bortigali dove possiede un molino . Il giudice non si era sbagliato: pochi giorni dopo, le chiacchiere di paese riferivano pure il movente: Bachisio Mele era stato punito da Francesco Obinu perché, con l’apertura del molino di Ordari, gli aveva rovinato la piazza.

Alibi inventati, testimoni falsi, intimidazioni, depistaggi. Passarono mesi prima che al giudice Spanu Pischedda tornasse il buonumore. Il 14 marzo del 1851 fece arrestare Antonio Luigi Dessena, 24 anni, nato ad Ardara, scrivano del Comune di Bortigali. Fu un azzardo, il suo, ma contava di far parlare l’unica persona al mondo che sapeva la verità. Era tale Stefano Agus, un ragazzino di Silanus che quel 9 febbraio era stato con Dessena – venuto in paese per comprare carne di maiale – tutta la giornata e che poi si era incamminato con lui verso Bortigali.

Non fu facile, ma alla fine il testimone chiave parlò. «Passando a Ordari – disse – abbiamo visto una luce fioca nel molino. Abbiamo bussato e Bachisio Raimondo Garau è venuto ad aprire. Ci siamo seduti tutti attorno al fuoco e, quando domandai un po’ d’acqua, Antonio Dessena mi chiese di andare fuori con lui, al ruscello. Lì mi disse che voleva bastonare i ragazzi, tranne Giuseppa Cuccuru Pes. Quando siamo rientrati si accomodò vicino a Bachisio Raimondo. Rideva e scherzava, poi, afferrò una grossa pietra. Uccise prima Bachisio, poi i bambini. Ha afferrato Giuseppa, l’ha gettata per terra, si è abbassato i pantaloni, ma ha cambiato idea. Ha preso un’altra pietra, con due mani. Ha ucciso Giuseppa mentre lei lo supplicava».

PIERA SERUSI

Tratto dall’Unione Sarda

AGGIORNAMENTO

Ci scrive un nostro lettore in merito a questo articolo. Riportiamo con piacere.

C’e’ una grossa inesattezza da correggere. Ordari non appartiene al comune di Silanus ma al comune di Bortigali. Il fiume segna il confine , la riva ovest Bortigali la riva est Silanus.
Le domus de janas de Sos Furreddos sulla riva est sono si di Silanus ma i poderi di Ordari sono sulla riva ovest, il mulino era di un mugnaio bortigalese non silanese e sorgeva sulla riva ovest cioè quella di Bortigali a ridosso del ponte della strada. Lo so per certo visto che il podere sul quale sorgeva il mulino è di mia proprieta’! sono terreni che appartengono alla mia famiglia da quasi 90 anni, dagli anni 20, quindi parlo con piena cognizione di causa, comunque per dovere di cronaca devo dire che del mulino non resta più nemmeno la più’ piccola traccia ma è individuabile il punto dove sorgeva, e devo anche dire che frequento quei poderi praticamente quasi ogni giorno o giù di li ma di fantasmi e altre presenze paranormali non c’e ne nemmeno l’ombra, pecore in abbondanza ma spiriti zero!