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Il culto delle acque in Sardegna

Tradizioni sarde - Il culto delle acque in sardegna

Uno studio effettuato dagli alunni della 3a E coordinati dalle professoresse Maria Assunta Frau e Antonella Ibba – Scuola Secondaria di Primo Grado di Sedilo

Lo scorso anno scolastico, durante alcune ore del tempo prolungato, con le professoresse Frau Maria Assunta e Ibba Antonella abbiamo preso in esame la storia della Sardegna e ci siamo soffermati a studiare il periodo nuragico e l’importanza che aveva l’acqua presso i nostri antenati: fonte di vita per l’uomo e per la natura.

Abbiamo letto che alcuni autori antichi hanno scritto che le acque erano una benedizione della Sardegna, e che in certi luoghi sgorgavano sorgenti calde e miracolose per le virtù salutari, soprattutto per la cura degli occhi, con effetti anche magici: chi era sospettato di furto veniva sottoposto alla prova dell’acqua, ossia al lavacro degli occhi, se era innocente gli si aguzzava la vista, se colpevole, diventava cieco.

Abbiamo così saputo che il culto delle acque comprendeva l’elemento terapeutico e quello magico.
Ma soprattutto abbiamo riscontrato l’elemento religioso.

Ovunque nell’isola si trovano sorgenti e pozzi sacri risalenti al periodo nuragico, il più famoso dei quali, pozzo di Santa Cristina non è lontano dal nostro paese, Sedilo.
L’acqua, sia che sgorgasse dalla terra, sia che piovesse dal cielo, poi raccolta in piccole e grandi conche scavate nella pietra, era provvidenziale per i nuragici.
Le une e le altre avevano le stesse virtù e parte di esse veniva deposta dentro una conca rupestre, gelosamente custodita sotto un edificio monumentale, conche che ancora oggi si trovano sotto gli altari delle chiese cristiane.

Allora solo il sacerdote poteva scendere ad attingere l’acqua, dopo aver sgozzato la vittima offerta alla divinità, per ottenere così la guarigione dei malati.

In tempi a noi vicini, in alcune località della provincia di Sassari e di Nuoro si narra che gli anziani andassero a gettare monete, corone di rosario e altri oggetti dentro una conca rupestre, per ottenere qualche grazia.

È noto che il culto delle acque, nei tempi antichi, era diffuso un po’ ovunque, dall’Africa all’Asia, all’Europa, ma anche presso le civiltà indigene dell’America e dell’Oceania e molte sono le leggende che ruotano intorno ad esso, così anche i riti magici che si servono dell’acqua.

Basti pensare al malocchio, s’ogu malu, alla cui cura ancora oggi nel nostro paese, molti ricorrono.
Nel passato, ma capita anche oggi, in tempi di siccità, a Sedilo c’era il rito di “Su Maimone”, una croce di canne o di ferula, rivestita di fronde di pervinca, che i ragazzini portavano per le vie del paese, cantando delle invocazioni a Maimone, il dio fenicio delle Acque, che ad un certo punto, in una specie di sincretismo religioso, diventava il Dio cristiano.

I bambini bussavano alle porte e recitavano questa filastrocca:

Maimone, Maimone
Butta acqua sul seminato
Butta acqua sulla terra secca
Dio sia lodato
Gli agnelli vogliono erba
I bambini vogliono pane
Dacci acqua Signore
In questa necessità Signore vogliamo acqua
Altrimenti moriamo

Questi riti propiziatori delle acque in tempi siccitosi non erano diffusi solo in Sardegna, ma anche in Corsica e nell’Africa del nord, portati dagli arabi, convinti anche che le acque sorgive, in determinate occasioni, avessero le stesse virtù salutari di quelle del pozzo sacro della Mecca.

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