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Primo tempio ipogeo nuragico scoperto in Sardegna

Primo tempio ipogeo nuragico scoperto in Sardegna

E’ noto che le formazioni calcareo-dolomitiche (alle quali è in primo luogo vincolato il carsismo)  scarseggiano in Sardegna, occupando queste solo 1.500 Kmq sulla superficie totale di circa 24.000 Kmq, cioè appena il 6% dell’intera Isola.

Tuttavia tale ristrettezza quantitativa dell’area, ben modesta per es. rispetto all’estensione di formazioni geologiche similari nelle Alpi lombarde e venete nel Carso triestino-istriano, nell’Appennino toscano e in quello pugliese-garganico e centro-meridionale, ecc., è largamente compensata per qualità, estendendosi la gamma delle manifestazioni carsiche in Sardegna, attraverso i tempi geologici dal paleozoico (cambrico) al mesozoico (giurassico e cretacico), dal terziario (miocene) al quaternario, per quasi mezzo miliardo di anni.

Verso la fine del «Cambrico» le formazioni calcaree e dolomitiche sottoposte all’azione combinata dell’atmosfera e dell’idrosfera (circolazione di acque sotteranee) hanno subito un incarsimento.
Le grotte che si sono formate in queste condizioni sono grotte «fossili», che possono aver subito in seguito un processo di ringiovanimento, e che sono da annoverare tra le più antiche di Europa. Grotte così ricche di milioni di anni possiamo trovarle nell’Iglesiente, per es.: la Grotta di S. Giovanni presso Domusnovas; la Grotta Verde a Capo Caccia con un insediamento neo-eneolitico da me scoperto; La Grotta di Concali Corongiu Acca presso Villamassargia da me scoperta, adibita ad uso funerario nell’età eneolitica; la Grotta di S. Barbara nella miniera di S. Giovanni (Iglesias) con la volta e le pareti splendidamente tappezzate di cristalli lamellari di solfato di bario nel Silurico, ed in parte rivestiti successivamente da concrezioni calcitiche a colonna, a cortine, grappoli, ecc.

L’uomo primitivo al di fuori dell’Isola nel periodo umido e freddo dell’ultimo glaciale (epoca del grande mammuth) e in quello post-glaciale secco e freddissimo (epoca della renna) trovò un ricovero abbastanza salubre e sicuro nelle grotte e nelle cavità, come dimostrano i numerosi
avanzi di pasti, di focolari e di armi litiche in esse rinvenuti (2).

In Sardegna le fasi culturali neolitiche, eneolitiche e della prima età del bronzo possono essere ormai ben documentate dai rinvenimenti di ceramiche e di altro materiale culturale, altre che di resti scheletrici umani, soprattutto crani, in quasi un centinaio di grotte su oltre 630 elencate
nel catasto in diverse zone dell’Isola, sia per abitazione, sia per ragioni funerarie, oppure insieme per sede di vivi nella parte anteriore e di morti nel profondo. Eccezionalmente vi si localizzò qualche culto come nella grotta S’Adde a Macomer (dove si è trovata una rappresentazione in basalto della dea-madre) nella grotta di «Sa domu e s’orku» di Urzulei, nella grotta di San Michele» d’Ozieri (per un presumibile culto della dea madre), nella grotta di Sa domu e s’ orku nel Monte Albo.

Fino alla scoperta del tempio ipogeo nuragico (grotta A.S.I. (3) in località Benatzu, Santadi) si riteneva dagli archeologi che non vi fossero nelle grotte installazioni costruite, né altari (4). La nostra scoperta ha invece rilevato, come appare dalla pianta della grotta A.S.I. mura nuragiche all’ingresso (v. n . 4 della pianta della grotta) ed un altare (5) ricavato in una potente colonna stalatto-stalagmitica (v. n. 7 della pianta della grotta).
Ritengo che altre grotte fossero adibite a tempio ipogeo, come ho potuto rilevare nella grotta Sa domu e s’orku nel Monte Albo che presenta nell’interno potenti mura nuragiche.

Purtroppo il saccheggio e la devastazione di molte grotte non hanno potuto permettere la dimostrazione di un vero e proprio culto in una grotta adattata a tempio, fino alla scoperta della grotta A.S.I.
Nel tempio ipogeo nuragico della grotta A.S.I., ai piedi della potente colonna stalatto-stalagmita adibita ad altare, nel pavimento stalagmitico fu praticata a scopo rituale una apertura circolare (del diametro di circa 35 cm.), dove affiora l’acqua, affinché il sangue delle vittime animali, dal vello nero in quanto gradito dalla divinità ctonica, sacrificate durante
le cerimonie magico-religiose, si mescolasse con l’acqua alla cui divinità, od altra ctonica (il sole al tramonto), era dedicato il tempio nelle profondità carsiche. Presso l’altare erano accatastati circa 1700 vasetti, suddivisi in tre mucchi.

Cosa veramente straordinaria, non essendo stata finora rilevata negli altri ritrovamenti di oggetti nuragici (con esclusione naturalmente dei veri e propri «bronzetti» prodotti come ex voti dopo l’invasione punìca) tutti i manufatti non fittili sono di rame e non di bronzo.
Il pugnale sacrificale gammato, rinvenuto sull’altare del tempio ipogeo di Santadi (grotta A.S.I.) ricavato nella colonna stalatto-stalagmitica, può essere impugnato solo da una mano femminile e porta incastrato a metà nella lama un anello.
Ritengo che in questo tempio ipogeo ed anche nei nuraghi affidassero sacerdotesse cieche (o come ierodule) che fossero scelte alla complessa liturgia della divinità solare, dopo aver avuto offesa la vista guardando imprudentemente il sole nella eclissi (6).

Degli animali sacrificati (presumibilmente ovini dal nero vello) venivano combusti solamente alcuni visceri, come dimostra l’esame della grande quantità di carbone accumulato nella camera dell’altare non presentante residui di ossa combuste. Questo carbone col suo potere riducente
ha salvaguardato il prezioso materiale non fittile, di rame, per quasi tremila anni!
L’esame del carbonio isotopo 14 è stato affidato all’Istituto di geochimica dell’Università di Roma ed è risultata una datazione di 2.770 ± 60 corrispondente ad 820 a.C. ed una datazione di 2.680 ± 60 corrispondente a 730 a.C. (7)
E’ interessante rilevare che dall’820 a.C. fino all’invasione cartaginese dell’Isola, avvenuta intorno al 535, ben nove eclissi solari attraversano la Sardegna in 285 anni (una eclissi ogni 31, 66 anni), e cioé considerando la vita media dell’uomo di 35 anni, una eclissi per generazione.

Secondo la mia concezione che raffigura il nuraghe, non come una fortezza o una casa di viventi, ma come il tempio dedicato al dio sole, se ne deduce che la costruzione di questi templi fosse sollecitata dalla eclisse solare per impetrare dalla divinità di non morire, ma continuare
ad illuminare e fertilizzare la terra (8) .
E’ da notare che l’ingresso del nuraghe, sempre a pianterreno, volto sull’eclittica a sud-sud-est, finora verificato su un numero di oltre trecento, appare orientato astronomicamente sul solstizio invernale e sul sorgere eliaco di Rigel (costellazione di Orione), su Sirio (costellazione del Cane Maggiore), su Rigel (alfa della costellazione del Centauro, ora visibile solo nell’emisfero australe unitamente alla costellazione della Croce del Sud, visibili 5.000 anni fa alla latitudine dell’Inghilterra) (9).

Sul problematico significato dell’offerta degli oggetti fittili, tutti usati e di metallo (in gran parte fuori uso come spilloni, daghe, ecc.) che costituivano il tesoro votivo della grotta A.S .I., possiano per ora fare le seguenti ipotesi:

a) i recipienti di ceramica nei periodi di ricorrente siccità con la loro offerta alla divintà ctonica dell’acqua, con il rito magico-religioso celebrato nelle viscere della terra dalla sacerdotessa, dovevano riempirsi di acqua («acqua cominciata») e permettere quindi sulla superficie la raccolta dell’acqua all’offerente;
b) i familiari di un defunto dedicavano un recipiente usato di ceramica, come simbolo della di lui consunta vita, alla temuta divinità ctonica, il sole tramontato (il cui simbolo dedicatorio appare nella lampada dalla protome ovina e nel tripode dalle protomi cervine) affinché gli fosse benigna;
c) i nuragici, come tanti altri popoli, si potrebbe sospettare che praticassero una particolare confessione con il rigetto del peccato attraverso il suo travasamento nel recipiente di ceramica (naturalmente pieno di acqua) e la sua offerta alla divintà ctonica per allontanarlo definitivamente dalla superficie e con l’impossibilità che potesse danneggiare altri.
d) il materiale non fittile costituito di rame puro (salvo un anellino d’oro con castone vuoto) costituiva il vero e proprio tesoro del tempio.

E’ da notare la presenza di pezzi di rame puro mentre sono assenti pezzi di stagno che i nuragici non hanno mai potuto possedere per la sua preziosità e quindi non hanno mai posseduto oggetti di bronzo fino all’invasione dei cartaginesi.
Gli oggetti indispensabili per il rituale che si svolgeva nel tempio ipogeo erano pertanto solo tre: il tripode, di origine cipriota (presumibilmente portato dai Fenici che hanno fondato l’emporio di Nora), sul quale, come ho potuto verificare, veniva posta la navicella del dio sole navigante da ponente ad oriente nelle tenebre, sulla quale ardeva perennemente la
fiammella; il pugnale sacrificale per sgozzare nel giugulo le vittime animali.

Carlo Maxia – Aprile 1972

NOTE

(2) – E’ verosimile che i primi uomini (protoantropi), come gli animali, cercassero rifugio nelle grotte (che divennero «caverne da ossa») quando per un trauma o per una causa morbosa si fossero
troppo indeboliti per poter vivere nel loro gruppo, i cui componenti si dovevano continuamente
spostare per la caccia e la raccolta. Poterono pertanto usare le grotte come abitazione, invece degli alberi, solo quando la conoscenza del fuoco li rese capaci di allontanare dagli antri le belve. Cosicché i primi uomini furono «uomini delle caverne» solo per motivi di malattia o di morte.
(3) – Tale grotta, nota nel catasto come grotta Pilosu, il Centro Speleologico Sardo ha proposto di denominarla grotta A.S.I. in ricordo degli speleologi dell’Associazione Speleologica Iglesiente che la hanno esplorata sotto le mie direttive, scoprendo il tempio il 26 giugno 1968.
(4) – «Dans aucune des cavernes sacrèes dè la Sa rdaigne,on ne releve rl ‘ins ta lla tions biì ties d ‘autels» (v. a pag. 274 Ch. Zervos – La civilisation de la Sardaigne, du début de l ‘énéolithique a la fin de la période nouragique (Il millénaire siècle avant notre ère). Editions «Cahiers d’art», Paris, 1954.
(5) – Le popolazioni eneolitiche e nuragiche hanno utilizzato sempre come altari delle rocce che venivano scavate opportunamente per ottenerne cavità sia per la raccolta del sange delle vittime animali e sia per la combustione di visceri degli animali stessi in offerta alla divinità eneolitica del toro e a quella solare nuragica. (MAXIA C. , La civiltà nuragica alla luce delle scienze antropologiche, Boli. Soc. Sarda Se. Na turali , JII , 3 – 39, 1970). Queste are sacrifiziali e ran o s tate finora dagli archeologi, o ignorate, o ritenute frantoi per i semi di lentischio!
(6) – Osservando una eclissi solare senza uno schermo che assorba le radiazioni infrarosse (vetro nero
per es.) si possono avere infatti delle lesioni corioretiniche (fotoretiniche ), che causano danni pennanenti nella visione quando è lesa la macula lutea.
E’ noto che Platone nel «Fedone» si riferisce a disturbi nella visione quando Socrate avvertì che
una eclissi solare potrebbe essere osservata solo attraverso il riflesso sull’acqua ; Galeno ne descrisse i sintomi in «De usu partium»; Galileo secondo alcuni AA. avrebbe avuto l ‘offesa alla vista guardando il sole con il telescopio da lui inventato, ma in realtà, secondo quanto risulta dalla sua corrispondenza (v. le opere di Galileo Galilei), avrebbe prevenuto i danni al visus con un filtro scuro così:
” . . . e il modo è questo. Devi si drizzare il telescopio verso il sole come se altri lo volesse rimirare; ed aggiustatolo e fermatolo, espongasi una carta bianca o piana incontro al vetro concavo, lontana da esso vetro quattro o cinque palmi; perché sopra essa cadrà la specie circolare del disco del sole con tutte le macchie che in esso si ritrovano ordinate e disposte con la medesima simmetria a cappello che nel sole sono situate ; e quanto più la carta si allontanerà dal cannone, tanto tale immagine verrà maggiore e le macchie meglio si figureranno e senza alcuna offesa si vedranno tutte fino a molto piccole, le quali , guardando per il cannone, con fatica grande e con danno della vista appena si potrebbero scorgere . .. ».
I sintomi di una cecità da eclisse solare dopo un annebbiamento del visus, con fotofobia, accidentalmente fotopsia e cromatopsia (rosso, gialla, azzurra), si manifestano dopo 24 ore con un tipico scotoma centrale che riduce l’acuità visiva in media di 6/ 12, ma non infrequentemente a 6/60 o meno.
Lo scotoma varia considerevolmente con il progredire del tempo: dopo alcune settimane tende
a contrarsi, qualche volta scompare completamente, ma in alcuni casi rimane permanente. In questi
casi con lesione maculare permanente (con formazione di una cavità) una piccola area della visione centrale può essere permanentemente perduta.
Dopo alcuni anni , d’altra parte, la capacità visiva può crescere considerevolmente e lo scotoma
diviene così piccolo che non provoca più fastidi al paziente.
(7) – Alessio M., Bella F., Improta S., Bellomini G. , Cortesi C., Turi B. – Radiocarbon . Vol. XII, n . 2, pag. 599 (e seg.). University of Rome . Carbon-14 Dates VIII.
(8) – MAXIA C., MAXIA C e FADDA L. in ” Front iera”, 1968, 1970, 1971, 1972 .
(9) – MAXIA C. e FADDA L.- Nuove scoperte sulla civiltà nuragica con l’as troa rcheologia. ” Frontiera” , n. l , 1973 ; MAXIA C. e PROVERBIO E. – Tests astronomici e la civiltà nuragica. Scientia , 1972.