Essendo lo sviluppo economico di un’isola strettamente legato all’efficienza dei collegamenti marittimi con il continente, l’approdo dei mezzi portuali di collegamento tra la Sardegna e l’Italia fu, nel corso dei decenni, motivo di contrasto tra Terranova (ora Olbia) e Golfo Aranci.
La questione relativa alla contesa tra i due centri galluresi ebbe inizio nel 1881, anno in cui fu completato l’ultimo tronco ferroviario che collegava Chilivani con Terranova. Nella medesima occasione, la Compagnia Reale e il Ministero della Marina predisposero il prolungamento della strada ferrata fino al promontorio di Capo Figari dove sorse, presso la nuova stazione ferroviaria, il paesino di Golfo Aranci.
Di conseguenza, per decisione delle autorità statali, nel 1883 fu trasferito l’approdo portuale da Terranova a Golfo Aranci.
Per un paese ancora piccolo come quello di Terranova, che nel 1881 contava solo 3.553 abitanti, il trasferimento dell’imbarco significava l’ostruzione di tutte le attività professionali legate al porto. Erano, infatti, molteplici le professioni che l’attività portuale garantiva. Ricordiamo, per esempio, la presenza degli ormeggiatori, degli impiegati doganali, della guardia di finanza, degli scaricatori.
Considerati, quindi, i mutamenti che il trasferimento dell’approdo portuale avrebbe potuto generare per quanto riguarda le attività professionali cittadine, il malcontento popolare non si fece attendere. Il primo a rivendicare le istanze della comunità di Terranova fu l’on. Giacomo Pala, figura forse poco rammentata in città, ma di elevato valore sia umano che politico. L’on. gallurese, portando la protesta sino in Parlamento, pose la questione relativa al porto di Terranova al centro della sua attività di deputato. Illustrò, punto dopo punto, quali erano le motivazioni che spingevano la comunità terranovese ad opporsi alla decisone statale.
Oltre alla questione professionale, l’argomentazione principale era legata agli inconvenienti che si potevano riscontrare lungo la tratta Golfo Aranci – Civitavecchia, tratta in cui la navigazione dei piroscafi, sia postali che commerciali, era fortemente osteggiata dagli agenti atmosferici. Il forte vento, soprattutto se di ponente, rendeva difficoltoso l’attracco delle imbarcazioni alle banchine portuali.
I piroscafi giunti da Civitavecchia, infatti, potevano attendere in rada anche per 10 o 15 ore fino alla cessazione del vento, generando quindi forti ritardi che andavano ad incidere sull’intero sistema commerciale e di trasporto dell’isola.
Di conseguenza l’on. Pala riteneva invece che, se impiegato lo scalo di Terranova, simili intoppi potevano essere evitati in beneficio non solo delle comunità limitrofe, ma di tutta l’isola che, sino a quel momento, riscuoteva le merci e la posta con sostanziale ritardo.
La battaglia incessante condotta dal deputato Pala, sostenuta inoltre dalla massa dei lavoratori della Camera del Lavoro di Terranova, dai socialisti e dai repubblicani, trovava però una forte opposizione da parte dei grandi proprietari terrieri rappresentati in Parlamento dagli onorevoli Cocco Ortu, Sanjust e Cao Pinna.
Quest’ultimi, i potenti della borghesia regionale, ostentando una visione scarsamente complessiva dello sviluppo portuale in Sardegna, scongiuravano il trasferimento dell’attracco a Terranova, preferendo la concentrazione del traffico commerciale su Porto Torres. Erano in gioco interessi privati circa la gestione del sistema ferroviario, relativi ai contributi statali per le linee di navigazione e, soprattutto, agli interessi dei proprietari terrieri nella zona di Golfo Aranci. Come scriveva il giovane avvocato sassarese Mario Berlinguer (padre di Enrico), «la battaglia per Golfo Aranci è ormai il rifugio tipico di tutte le forme di brigantaggio politico ed economico che avvelenano l’isola nostra».
Lo scontro tra sviluppo e conservazione, comunque, fu aspro e lungo. Alla fine della Prima Guerra, dopo 37 anni di lotte e di promesse mancate, la situazione rimane invariata. La guerra, la fame, la disoccupazione e i sacrifici, però, spinsero i terranovesi ad intensificare la lotta per l’approdo, concepito oramai come unica via di sviluppo e di benessere sia economico che sociale.
Nel settembre del 1919, infatti, i cittadini di Terranova formarono un Comitato di agitazione che si poneva come fine quello di coordinare la protesta, prendendo in considerazione l’utilizzo di ogni tipo di lotta, violenza inclusa. Dietro il grido di “oggi a qualunque costo”, Alessandro Nanni, Cesare Giorgini, Agostino Amucano, Stefano Linaldeddu, Franco Bergami, Pietro Spano Arturo Baravelli e Giovanni Sotgiu assunsero la guida del Comitato, preparando di fatto i cittadini alla riscossa.
Nell’arco di poche settimane dalla sua fondazione, il Comitato godeva di un forte consenso popolare. Considerato ciò e preso atto dell’incessante aria di rivolta che tirava a Terranova, la risposta del governo non si fece attendere. Fu così che vennero inviati nel centro gallurese forti contingenti di polizia, di carabinieri e di artiglieria. La situazione era tesa, pronta a sfociare nei fatti che segnarono il destino di Terranova.
Giunto il mese di dicembre, si passò definitivamente dalle parole ai fatti. Dopo decenni di lotte e di mancate promesse, i terranovesi presero in mano il proprio avvenire. In una notte stellata e poco fredda, quella tra il 23 e il 24, furono posti alcuni candelotti di dinamite sotto i ponti della ferrovia che portava a Golfo Aranci. In pochi dormirono a Terranova quella notte. All’alba della vigilia di Natale, la popolazione, allegra e animosa guidata dalla bandiera rossa della Camera del Lavoro, come riporta la Nuova Sardegna dell’epoca, si riversò in Piazza Regina Margherita dove si tenne un grande comizio che vide la partecipazione di tutta la cittadinanza, lavoratori compresi.
Terminata la manifestazione popolare, una lunga colonna di cittadini si diresse nuovamente verso la ferrovia dove furono sradicati, sempre con il sussidio della dinamite, i binari che collegavano Terranova con Golfo Aranci. Per ultima cosa, altri manifestanti assaltarono il treno che da Monti portava l’acqua nel paesino di Capo Figari. Le cisterne furono danneggiate e svuotate. Golfo Aranci non doveva bere.
Sfociati nella violenza, comunque, gli avvenimenti del dicembre del 1919 sancirono la vittoria della popolazione di Terranova. Il 29 gennaio 1920, dopo 37 anni di lotta, il piroscafo di linea approdava a Terranova, alla presenza di tutta la cittadinanza festosa e speranzosa in uno sviluppo portuale che, di fatto, si riscontrò nel corso dei decenni.
Dario Budroni