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L’oro di Tharros

Uno dei capitoli più interessanti della storia di Tharros è senza dubbio legato alla corsa all’oro che si scatenò a metà dell’Ottocento, e che le valse l’appellativo di “piccola California”, per la contemporaneità con l’altra e più famosa caccia all’oro, quella meravigliosamente descritta da Jack London in “Call of the wild”.

In questo caso, per immaginarsela, non è necessario pensare a cani da slitta e distese di ghiaccio, ma a quei personaggi un po’ romanzeschi che un secolo e mezzo fa percorrevano la Sardegna in cerca di fortuna – tra cui lo scrittore Honorè de Balzac, che sperava di trovarvi delle miniere e andandosene deluso, lasciò una descrizione tutt’altro che benevola dei sardi di allora, dipinti come dei veri selvaggi. Di questi avventurieri la sorte migliore toccò a Lord Vernon, un ricco inglese che, nel 1851, conducendo degli scavi a Tharros, s’imbattè in una serie di tombe cartaginesi dalle quali emersero una grande quantità di oggetti preziosi e finemente lavorati, sia in ceramica che in oro. Fu il primo a fare un ritrovamento d’ingente portata, in precedenza erano state riportate alla luce soltanto alcune tombe romane, di poco pregio.

Tesori di TharrosDa quel momento, un esercito di “cavatesori”, perlopiù contadini e pescatori locali, con pale e picconi, si mise febbrilmente all’opera, lavorando alacremente dalla mattina alla sera, e adoperandosi per trafugare tutto il possibile dalla vecchia città. Tra l’altro, si trattava di scavi condotti senza nessuna competenza, che oltre a provocare gravi danni dal punto di vista dell’archeologia, si concludevano ogni volta con la spartizione e la distruzione degli oggetti preziosi rinvenuti, al solo scopo di ricavarne l’oro. Il governo nazionale di D’Azeglio, in appena un mese, emanò un provvedimento urgente per impedire che lo scempio continuasse, e autorizzò invece l’attività scientifica di ricerca, affidandola al Canonico Spano e a Gaetano Cara, direttore del Museo di Cagliari. La situazione tuttavia non migliorò.

Il Cara, dopo un altro mese circa di lavori, ritornò a Cagliari carico di oggetti d’oro e altre cose preziose, ma consegnò al Museo soltanto poche cianfrusaglie e, mediante un prestanome, rivendette i materiali tharrensi ritrovati al British Museum di Londra, a quelli di Parigi e di Torino, annotando tutto in un catalogo: una collezione di oltre 2500 pezzi, tra cui figuravano gioielli d’oro, d’argento e bronzo, come anelli per il crine e le dita, orecchini, braccialetti, scarabei, amuleti, e inoltre terracotte fenicie e greche, frecce, pugnali, monete puniche, greche e romane. La missione del Cara era “accrescere i tesori della scienza ed arricchire i Musei del continente europeo”, e con il ricavato della vendita acquistò, per sé stesso, una grande vigna.

Quando: tutto l’anno
Come arrivare: Il sito archeologico di Tharros dista dalla città di Oristano circa 20 km, per raggiungerlo seguire le indicazioni per San Giovanni di Sinis. Qui giungere fino all’omonima spiaggia e all’antica torre spagnola.

Pino Moi