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L’origine di Buddusò

I Duresi (1) erano diventati tanto cattivi, che Dio decise di cancellarli dalla faccia della terra. Volle, però, salvare l’unica persona, una donna che, a differenza di tutti gli altri compaesani, era buona ed onesta.

Fu da Dio invitata a fuggire dal suo paese e a fermarsi ad abitare in quel luogo in cui il suo gallo avrebbe cantato. La donna ubbidì all’ordine divino. Raccolte le sue poche cose, imboccò la strada per Bitti, attraversò questo paese, ma il gallo non cantò.

Oltrepassato Bitti la donna proseguì verso settentrione e, passata la località detta Ispagnoria, si voltò per dare un ultimo saluto a Dure e vide uno spettacolo terrificante, le fiamme di un fuoco che pioveva dal cielo e distruggevano ogni cosa.

Sbigottita per quanto vedeva, ringraziò il Signore della salvezza accorda­tale e riprese a camminare fino a quando il gallo cantò. Non fu il solito canto, aveva qualcosa del prodigio, infatti il gallinaceo articolò vere e proprie parole: “PUDDU SO’!“. (Sono un gallo).

La donna, meravigliata, ma questa volta lietamente, per il nuovo prodi­gio, e desiderosa di ubbidire agli ordini di Dio si fermò. Quel luogo divenne la sua dimora e di tutti quelli che successivamente vi si fermarono fino a formare un paese. A questo, vollero dare come nome, tali e quali, le parole del miracoloso canto del gallo: PUDDU SO’, oggi Buddusò.

(1) Duresi: abitanti di Dure, villaggio scomparso situato vicino a Bitti appartenente in periodo giudicale alla diocesi di Caltellì.

I PERSONAGGI DELLA FANTASIA

Un tempo non molto lontano, a Buddusò le madri usavano ancora una serie di spauracchi atti ad inculcare nel bambino la paura del pericolo. Non venivano date delle spiegazioni razionali, ma venivano fatti dei racconti più o meno paurosi, per cui disubbidire significava correre il rischio di diventare preda di uno dei mostri che popolavano le strade, i pozzi, le case.

Uno di questi personaggi immaginari era “SA CANE CRIADA” . Que­sta si trovava dentro i pozzi o le fonti cui faceva la guardia e tutti i bambini che si affacciavano venivano tirati giù e mangiati. Forse questo personaggio è retaggio del culto nuragico delle acque, dove a guardia dei pozzi e delle sorgenti vi erano delle sacerdotesse~maghe.

Altra donna strega era “SA MAMA ‘E SU SOLE“, che nei pomeriggi afosi dell’estate girava per le strade del paese in cerca di bambini delle cui carni era molto ghiotta.

Altro personaggio fantastico femminile cui le mamme ricorrevano per farsi ubbidire dai bambini era “MARIA PETTENEDDA“, sporca, sdentata e scarmigliata. Si dice fosse sempre pronta a mettere sotto il lenzuolo o la coperta i bambini.

Altro personaggio fantastico che le vecchie ricordano era “SA MAMA ‘E SU ENTU“. Questa la si poteva trovare in strada nelle giornate ventose.

Altro personaggio fantastico che incuteva paura ai ragazzi era “SU MASCADORE DE SETTE BERRITAS“. Si diceva che lo si poteva trovare nelle strade del paese nei lunghi e caldi pomeriggi dell’estate sarda, per cui i ragazzi, dopo il pranzo, dovevano rimanere in casa a riposare. Se uscivano potevano imbattersi nel “MASCADORE DE SETTE BERRITAS”, il quale metteva i ragazzi dentro un sacco per poi divorarli.

Ma lo spauracchio per eccellenza cui i genitori ricorrevano di più era “MAMMOTTI” (si dice ancora: “se non stai buono viene MAMMOTTI”), una specie di diavolo nero che girava avvolto in un ampio mantello e con un gran sacco in cui infilava i bambini disubbidienti.

Le vecchie di Buddusò ricordano un altro personaggio femminile fanta­stico “SA CIOLZANA” o “FADATZA“; erano delle persone che conduceva­no una vita apparentemente normale, ma potevano trasformarsi ed andare a succhiare il sangue dei neonati. In generale l’aspetto esteriore non permetteva di riconoscere subito una potenziale strega-vampiro. Questi esseri li si poteva riconoscere per la coda sin dalla nascita. Infatti, quando queste nascevano, se la levatrice o qualcuna delle donne che assistevano si accorgevano che la nascitura aveva la coda, gli veniva subito recisa, e la neonata perdeva tutti i poteri malefici ed avere un’esistenza normale. Se invece, nessuno si accorgeva che la neonata aveva la coda, questa era destinata a diventare una donna­ vampiro. Le madri che credevano nell’esistenza delle “FADATZAS” stavano continuamente in apprensione e cercavano di tenere lontano il pericolo mettendo nella culla una ciotola di sale e dei rami di salice, che servivano a distrarre le streghe-vampiro. Infatti queste, alla vista del sale e del salice erano vinte dalla voglia di contare i grani e le foglie facendo piangere il bambino. Al pianto accorreva la madre, che metteva in fuga la strega.

Le donne vampiro del paese, la notte, si davano appuntamento al campanile della chiesa parrocchiale, la gente si accorgeva della loro presenza per via dei fischi che questi esseri emettevano. A Buddusò si narra di una donna che prestava servizio in una casa di benestanti e che ad una certa ora la sera si appartava nella sua camera e non ne usciva che l’indomani mattina, anche se chiamata dalla padrona. Questa, avendola cercata diverse notti e non trovandola, si incuriosì. Una notte seguì la serva in ogni suo movimento sino a quando questa, alla solita ora si appartò nella sua camera. Spiandola dal buco della serratura vide che la serva si era denudata e su tutto il corpo si spalmava dell’olio e pronunciava queste parole:

Ozu, ozu andea

bene appas sa pelea

chi mi faghet bolare.

Dette queste parole si librava nell’aria ed aperta la finestra volava fuori raggiungendo le compagne nel campanile della chiesa parrocchiale. La padrona esterrefatta entrò nella stanza della serva e, imitando tutto ciò che questa aveva fatto, si spogliò spalmandosi l’olio usato dalla “CIOLZANA” su tutto il corpo. Poi, salita su di una sedia, pronunciò le stesse parole, ma anziché librarsi nell’aria, cadde battendo la testa per terra.

SAS PANAS

SAS PANAS“, erano i fantasmi di donne morte durante il parto e per penitenza dovevano lavare per sette anni i panni dei loro bambini.

In tempi non molto lontani, quando la biancheria si doveva lavare lungo i corsi d’acqua vicino al paese, molte persone avevano paura di recarvicisi prima che sorgesse il sole per evitare di incontrare SAS PANAS, che ogni notte si credeva andassero lungo le rive dei fiumi e dei ruscelli per lavare la biancheria dei loro bambini. Nessuno doveva interrompere il loro lavoro altrimenti dovevano ricominciare da capo e la pena durava per altri sette anni. Allora le “PANAS” da innocue diventavano aggressive. Apparivano dopo la mezzanotte e dovevano ritirarsi prima che sorgesse il sole. A Buddusò nella bara delle donne morte di parto, affinché fossero facilitate nella loro pena, era usanza mettere qualche pezzo di sapone, il ditale, aghi e filo, altrimenti una volta diventate “PANAS” sarebbero state costrette a chiedere in prestito questi oggetti indispensabili per tenere in ordine i panni dei loro bambini.

A Buddusò si narra di un uomo che una notte, tornando dalla campagna e preoccupato perché la moglie doveva partorire, mentre attraversava un ruscello vide una donna che lavava dei panni e fu colpito da alcuni schizzi d’acqua. L’uomo, asciugandosi con la mano il viso bagnato esclamò: “no aias atter’ora pro ‘enner a isciuccare!”. La donna che era una “PANA” rispose:

«Giudichende, mi ses..

chena ch’essire oe

sa pena mia proes!»

L’uomo arrivato a casa trovò la moglie con le doglie e qualche ora dopo morì insieme al neonato. Questa era stata la vendetta della “PANA” per essere stata interrotta mentre lavava i panni.

Un’altra storia, che i buddusoini si tramandano sulle “Panas”, è quella che racconta di una fanciulla che una mattina andò a sciacquare i panni al fiume. Vi si recò molto presto, quando era ancora buio, temendo di trovare il posto occupato, da altre donne che, come lei, si sarebbero recate a lavare i panni. Nel ruscello c’era già una donna che lavava i panni del suo neonato. Entrambe non si rivolsero la parola, ma lavarono fianco a fianco. La donna finito di sciacquare i suoi panni, se ne andò in silenzio. Quando la fanciulla tornò a casa la madre le chiese se con lei al ruscello c’erano altre donne. La fanciulla rispose di sì, facendo il nome di una donna che abitava dalla parte opposta del paese. La madre meravigliata esclamò che quella donna era morta di parto il giorno di Sant’Anastasia. «Eppure, rispose, la fanciulla, lavava con me al fiume».

Riguardo “SAS PANAS” si legge nel sinodo di Usellus 1566.

In primo luogo si vieta il superstiziosissimo rito che, in sardo, viene chiamato ‘incresiari in domo’ cioè il sacerdote benedice, con una candela accesa e con la recitazione dei vangelo, la casa della puerpera aspergendola di acqua benedetta. Di questo rito abusano dove una donna partorisce credendo che, col suo parto, compaiano e vaghino in quella casa fantasmi nocivi, chiamati Pantamas (Panas) i quali se non vengono fatti sparire con la purificazione rimangono ivi per sempre e procurano grandi molestie alla famiglia“.

Paolo da Ozieri

Fonte: Buddusò – Poeti – Racconti – Leggende di Tomaso Tuccone

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