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Is Animeddas – Il Samhain Sardo

is animeddas

Puoi pure tentar di condividere cultura tradizionale quanto vuoi, ma quando senti su un tg nazionale che quella che in Italia riproponiamo in occasione di Tutti i Morti è una festività scippata dalla tradizione scozzese, ti viene da chiederti, ma chi cavolo le mette insieme le informazioni per i servizi televisivi? Non posso metterci la faccia per il resto dell’Italia, ma per la Sardegna potrei metterci le mani sulla graticola: Is Animeddas non è un assaggio di “Carnevale” come è stato detto, e con le usanze scozzesi, non lo metto in dubbio meravigliose, ha in condivisione la sensibilità umana. A tirar su il naso per aria ci si rende conto facilmente che tra la fine di ottobre e gli inizi di novembre le giornate si fanno drasticamente più corte e le ore di buio aumentano spaventosamente. Per chi sa che il regno dei morti è fatto di buio, non è troppo difficile capire perché in buona parte del mondo si è certi che proprio durante questi giorni, chi lo desidera, possa ritrovare un contatto con i propri avi defunti.

Animas Bonas, Animas Malas (1): la loro dimora è l’etere e non abbandonano il mondo dopo il trapasso. In Sardegna il culto dei defunti e la riverenza nei confronti delle anime, che esse siano bonas o malas è antico come le pietre e non accenna a voler scomparire.

Fin da epoca nuragica sull’isola è viva la credenza secondo la quale la morte non consista pienamente nella fine della vita, ma della vita così come la si conosce. La morte su Hyknusa non è mai stata qualcosa di definitivo, ma semplicemente un passaggio necessario per accedere a una vita spirituale differente. Le anime dei defunti si trovano dopo la morte, volenti o nolenti, a condurre una vita del tutto similare a quella precedente, ma in una dimensione che si potrebbe definire parallela.

Una continuità della vita anche dopo la morte e la sicurezza che le anime, pur vivendo in un mondo altro, abbiano la possibilità in determinati giorni e in particolari ore, di interferire ancora sulle sorti di chi è vivo. E’ questa visione del regno dei defunti a giustificare la reverenza dovuta alle anime dei trapassati nella tradizione sarda. Lo stesso Calvia (1893) ricorda “…che tutti i giorni i morti passeggiano per il paese ed attendono, come quando erano in vita, alle proprie occupazioni. Alcune persone hanno la virtù di vederli…”.

Questo e altro si raccontava in Sardegna sul conto delle anime dei defunti, e la narrazione si faceva tanto più coinvolgente quando a tenere banco erano storie che narravano di animas malas, crudeli fino al midollo, del modo d’invocarle, dei mezzi per tenerle lontane.

I sentimenti che si provava nei confronti delle anime dei defunti erano ambigui e contrastanti. V’era il rispetto,  non mancava il timore e c’era immancabile il desiderio di rivedere anche se per pochissimi attimi, i propri defunti che ancora, era certo, s’aggiravano per il mondo.  Ecco giustificata la presenza di una serie di figure sociali, che assolvono a questi delicati compiti, per la maggiore donne, conoscitrici di segreti, che solo in punto di morte saranno trasferiti ad adepte più giovani. Era esattamente durante il finire d’ottobre e gli esordi di novembre, che tradizionalmente si riteneva più flebile quel confine che separa i due mondi, l’uno dei vivi, l’altro dei morti, trasparente e impenetrabile come ragnatela bucata.

La Sardegna celebrava quelle giornate magiche che dividono ottobre da novembre con rituali e festeggiamenti simili in tutta l’isola: is animeddas,  is mortus,  sos mortos, o  su mortu mortu.

La tradizione isolana non ne dubita,  la notte del 31 di ottobre il portone che costringe altrove le anime del purgatorio si apre d’improvviso permettendo a queste d’abitare le case che un tempo furono di loro proprietà, o di visitare quei luoghi ai quali, per l’uno o per l’altro motivo, si sentono profondamente legate.

I bambini sardi nella magica notte, vagavano vestiti di stracci, quasi a voler simboleggiare le anime dei piccoli defunti e bussavano di porta in porta domandano secondo una formula che differisce di località in località, una piccola offerta per le anime costrette fra il paradiso e l’inferno. Secondo l’uso locale, che lentamente si sta riscoprendo, potreste dunque sentirvi chiedere , ripetuto in cantilena: “seus benius po is animeddas” oppure “mi das fait is animeddas” o ancora “su bene de sas ànimas” o “carki cosa po sas ànimas”.

Non temete, vi domandano semplicemente un piccolo dono per le sfortunate animelle del purgatorio, che in quella notte vengono ricordate più che in ogni altro giorno. Se vi ritenete accaniti prosecutori della tradizione, disdegnate d’offrire di caramelle confezionate, o dolciumi sponsorizzati. Assomigliereste molto di più ai vostri padri abbandonando nelle tasche dei bambini pabassini[2], mandarini, mandorle, noci, caramelle, limoni, castagne, pane o melagrane, tipico frutto votato ai morti. I più poveri un tempo, pur di donare, regalavano ceci e fagioli.

A Ghilarza, il rituale che si teneva la notte di Ognissanti si chiamava askardoppias o  iskaddoppias e consisteva nella questua in suffragio dei defunti da parte dei ragazzini, a cui venivano regalate noci e papassine da custodire in un sacchetto realizzato avvolgendo i quattro angoli di un fazzoletto.

La forte tradizione dolciaria sarda che si legava a questa festa esiste a tutt’oggi. Ricca e varia, conosce come base tipica la saba, prodotta tramite la cottura del mosto, che regala ai dolci un colore scuro, quasi nero di terra, in perfetta armonia cromatica con il periodo che ci si accinge a festeggiare.

E’ inoltre importante ricordare che tra il 31 di ottobre ed il 1 di novembre era in uso fino a qualche decennio fa la tradizione, tutta sarda, di celebrare i morti con una cena frugale. Questa in origine era a base di fave, piatto tipico dei morti, in seguito l’alimento principale sarebbe divenuto la pasta. I piatti venivano lasciati la notte sulla tavola apparecchiata perché i defunti in visita avrebbero controllato prima di tutto le condizioni della casa e successivamente si sarebbero sfamati, non certo con il cibo, ma solamente con l’odore. Era fondamentale ricordarsi di non lasciare sulla tavola forchette o coltelli. In un impeto d’ira avrebbero potuto tentar di portar via con sé un parente al quale erano stati in vita particolarmente affezionati, uccidendolo, o magari ferendolo.

Non solo la Sardegna, ma il Mediterraneo e l’Europa tutta hanno riconosciuto in passato l’importanza del periodo. Festa di un certo rilievo del calendario celtico era il Samhain, celebrato il 31 di ottobre in onore dell’ultimo raccolto. Era momento celebrato ampiamente con fuochi e rituali di vario genere.

Una volta spenti i falò, le ceneri ed i carboni si conservavano per l’acquisita funzione protettiva e apotropaica (un po’ come accadeva per Sant’Antonio in Sardegna). Si trattava di una festa agricola, che ringraziava per l’ultimo raccolto e salutava l’arrivo dell’inverno. La convinzione che in quella notte fosse concesso alle anime dei defunti di far ritorno era probabilmente fomentata dal maggiore numero di ore di buio rispetto a quelle di sole, e lo sappiamo bene, notte e buio sono gli elementi entro i quali con più facilità si muovono anime e spettri. Il festeggiarli era un ottimo strumento per non dimenticare, per protrarre il legame con gli antenati negli anni.

Alle feste pagane il cristianesimo ha preferito sostituire celebrazioni che meglio si adattano ad un buon cristiano, che spesso ignora il simbolismo dei gesti antichi che meccanicamente ripete.

Poco importa che l’Europa antica abbia elaborato in maniera indipendente le celebrazioni che caratterizzano queste giornate d’inizio inverno, ciò che davvero conta è che numerose popolazioni a chilometri di distanza le une dalle altre, si resero conto che le ore di luce drammaticamente cedevano il passo a quelle di buio, elemento poco congeniale all’uomo, e tramite i festeggiamenti, banchetti e fuochi, si dava il bentornato alle anime, si celebrava il culto degli avi e si combatteva la notte aggregati e dinanzi a fuochi ardenti.

Claudia Zedda

Fonti bibliografiche

Atzei D., 2003. Le piante nella tradizione popolare della Sardegna. Sassari: Delfino.

Calvia G., 1893. Credenze e superstizioni popolari. Bologna: Forni.

Zedda C., 2009. Creature fantastiche in Sardegna. Cagliari: La Riflessione.
Pubblicato in “Est Antigoriu“@KalarisPhoto Credit: claudia.zedda

[1] “Le anime buone e le anime cattive”.

[2] Tipici dolci sardi con la caratteristica forma di rombo a base di frutta secca, saba e uva sultanina.

 

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Vedi anche:

Is Paisceddasa, un’antica tradizione tra sacro e profano.

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