Affascinato dalla lettura de “L’alba dei nuraghi” a c. del Prof. G. Ugas, docente di Preistoria e Protostoria presso l’Università di Cagliari, vorrei proporvene alcune pagine relative alla misteriosa quanto curiosa origine del termine “nuraghe”. Buona lettura.
Nell’ottocento e nei primi anni del novecento erano piuttosto accese le discussioni sul significato e sulla funzione dei nuraghi. Dopo gli scavi di Antonio Taramelli, le indagini di Giovanni Lilliu e le numerose ricerche topografiche non ci sono più dubbi sul loro ruolo di edifici fortificati. Per la loro eccezionale monumentalità essi si differenziano non solo dalle abitazioni del villaggio ma anche dai templi e dagli edifici sepolcrali. Più difficile è invece il cammino per risalire al significato e alla formazione del termine nuraghe.
Purtroppo, gli antichi scrittori romani e greci hanno trattato dei nuraghi solo indirettamente, nonostante la loro ampia diffusione in tutto il territorio sardo, quando fanno riferimento alla splendida architettura dei tholoi attribuiti all’arte di Dedalo. Così, mentre Q. Fabio Quintiliano, Cicerone (es.: De prov. cons. 15) e altri ci hanno restituito i nomi della mastruga (stessa radice di mastarna etrusco?), mantello di pelle dei re pastori (perciò Pelliti), e di musmon (Strabone V, 2, 7), il muflone o forse meglio un “piccolo equide”, nessuna glossa ha interessato la parola indicante il nuraghe, che non doveva essere certo ignota.
Le diverse forme lessicali che identificano il nuraghe, nurake, nuraghe, norake, nuracci, nurazzi, naracu, sono formate da un radicale nur-/nor- e da un suffisso -aki/-ake che appare molto simile al suffisso greco -akos e a quello latino -acis, facendo pensare ad una forma aggettivale(1). Come è già stato evidenziato, la diffusione di nomi con tale radicale nell’intero territorio della Sardegna toglie ogni dubbio sull’appartenenza del termine nuraghe al sostrato linguistico prefenicio e preromano. L’alternanza tra o ed u, proposta, oltre che dai termini indicanti il nuraghe, anche da Nora, Noragugume, Nuraddha, Nuratze, Nuraminis, Nurra, Nure, Nurritani induce a pensare all’esistenza di una radice nor-/nur- con un’oscillazione vocalica già antica(2).
La base nur-, di gran lunga prevalente in Sardegna e legata a un tipico timbro vocalico u, mediterraneo preindoeuropeo, è conservata nel toponimo Nurac Sessar di un’iscrizione d’età romana, nel nome Nure, un centro costiero romano della Nurra algherese (forse Sant’Imbenia, a giudicare dalle indicazioni dell’Itinerario di Antonino e dalle importanti emergenze nuragiche del sito) prossimo alle miniere di rame (Calabona) e d’argento (Argentiera) e in quello dei Nurritani, popolo romano della stessa Nurra, in Nure, antica denominazione della balearica Minorca attestato nell’Itinerarium maritimum; e ancora in Nure (Rio, Ponte, Bosco) toponimo del versante appenninico emiliano derivato da un insediamento che doveva trovarsi presso Bosco Nure, su un’antica via che collegava l’area padana alla costa ligure-toscana, attraverso verosimilmente la Lunigiana e il ponte della Corsica, alla Sardegna (su un’antica via dell’ossidiana e dell’argento verso nord e dell’ambra verso sud?).
È possibile, inoltre, il raccordo con Nursia (Norcia), centro sabino, e Nurzia, latinizzata in Nortia, la dea etrusca della fortuna (“Colei che gira”, se nur significa, come vedremo, “girare”), che aveva il suo culto principale a Volsinio (Livio, 7,3,7), da cui forse deriva il nome della citata città sabina. Da considerare anche una possibile relazione con Norchia, località etrusca presso Vetralla in provincia di Viterbo, se è l’esito di un adattamento latino a *Nurkia(3).
D’altra parte il nome di Norax, la guida degli Iberi che fonda Nora (Pausania, Sallustio), induce a ritenere che le forme in nor- nascano da adattamenti ai timbri vocalici indoeuropei di una originaria radice mediterranea nur-, oppure che, al contrario, fu il radicale nor- (protoiberico-indoeuropeo?) a trasformarsi in nur- per adattarsi ai timbri mediterranei. Infatti non mancano possibili paralleli caratterizzati da una base nor-, come Norba, città dei Volsci nel Lazio, che presuppone *Norua. Né è da escludere aprioristicamente una relazione con nomi di regioni geografiche più lontane, quali Noreia, capitale dei Taurisci nel Norico (da cui deriva il nome della regione e dei suoi abitanti) nella Stiria, tra il Danubio e le Alpi (Tolomeo 2,14; Polibio, 34,10; Strabone, 206), e Nora (abitanti: Norenses), un castello della Cappadocia ai piedi del Tauro (Plutarco, Eum. 10; Strabone, 537; Diodoro 18,41), ubicata nella regione dei Siri cappadoci, dai costumi affini a quelli dei popoli mediterranei (Erodoto).
Sul piano etimologico, l’avo dell’archeologia sarda Giovanni Spano nel XIX secolo riteneva che il termine nuraghe derivasse da una radice fenicia nur- significante “fuoco”. L’ipotesi però si scontra, come detto, con il fatto che questa radice è presente in nomi diffusi in tutta l’isola, anche in zone dove la cultura fenicio-punica non è penetrata, e inoltre non vi è nesso apparente sul piano del significato tra nuraghe e fuoco, poiché i focolari, intesi pure come nuclei familiari, non si trovavano soltanto nei nuraghi, ma anche nei villaggi. Ben più rispondente alla situazione linguistica sarda, alla forma e alla funzione del nuraghe, è la proposta di G. Lilliu, M. Pittau ed E. Contu i quali evidenziano il rapporto tra il termine nuraghe, la parola del nuorese nurra (significante “cavità”, “cumulo di pietre”) e il nome omonimo della zona nord-occidentale della Sardegna, ricca di nuraghi.
La radice nur-, da cui derivano sia nurra che nurac/nuraghe corrisponde sul piano semantico alla base tur- propria di Tyrsis/Turris, che in Grecia e a Roma significava “torre”. Ciò emerge da diversi elementi.
Innanzitutto, in Corsica l’esatto corrispondente del nuraghe è il vocabolo torre. Anche il corrispondente termine minorchino talajot è legato all’architettura, significando “(edificio) di pietre tagliate, o di grandi lastre”(4). In secondo luogo va considerato che in sardo i vocaboli turra (stessa formazione di nurra) e turudda sono connessi, come turris, alla radice tur- che significa girare, voltare(5). Questi termini lessicali turra e turudda (da *turulla, di formazione analoga a quella di trullo pugliese) sono riferiti al mestolo e, al di là del fatto che talora indicano anche qualche nuraghe, avevano il significato originario di “conca”, “volta”, “cupola”. Dal fatto che turra identifica il mestolo e non già la torre discende che in ambito sardo antico vi era un’altra parola, importante e irrinunciabile, per identificare la torre e non può essere che nurak(e). La radice nur- doveva coprire l’intero campo di significati della radice tur- e pertanto il termine nuraghe poteva ben significare anch’esso “volta, cupola”, “torre”, “edificio circolare” ed anche, considerata la sua forma aggettivale, “insieme di cupole, di torri” e dunque “castello”. Consegue anche che il vocabolo tholoi (plurale) impiegato dagli scrittori greci a proposito degli edifici sardi sia stato utilizzato proprio per tradurre il lessema nurak(e), un edificio caratterizzato da più ambienti coperti con la volta(6).
Va rilevato, ora, che la parola Nurra, che identifica la regione della Sardegna nord¬occidentale dirimpetto a Minorca, è molto simile a quella di Nura balearica, tanto che occorre chiedersi se da quest’ultima non derivi il nome del coronimo algherese, o viceversa. Certo è che non può essere una coincidenza che nella stessa zona si trovino sia la Nurra che la popolazione dei Balari, la stessa delle Baleari. La presenza di un capo dei Vettoni iberici di nome Balaro, l’origine verosimilmente franco-iberica dell’aspetto sardo del Campaniforme e dell’eroe Norax, nonché i tratti di parentela linguistica con l’area basca, favoriscono l’ipotesi che il toponimo Nurra e la parola nuraghe fossero d’origine iberica, o comunque si fossero diffusi con la venuta dei Balari in Sardegna. Meno probabile, a giudicare dalle fonti classiche, è l’inverso, cioè che i termini balearici e iberici legati alla base nur- fossero di derivazione sardo-libica.
1. Secondo il Bertoldi il suffisso –ake appare in aggettivi sardi di formazione verbale, di derivazione latina e bizantina, ma anche in toponimi prepunici e preromani che indicano antichi insediamenti ed i loro abitanti: arthiakena, cioè Arzachena, Plav-aki, cioè Ploaghe, *Lothorake, cioè Lotzorai, etc. (Cf. G. Bertoldi, Colonizzazioni nell’antico Mediterraneo…, Napoli 1950). Il suffisso –ake è considerato preellenico e preromano dal Wagner, e tuttavia come gli altri suffissi di formazione analoga –eke, –oke (variante –uke), si ritrova anche in latino, greco e altre lingue indoeuropee. (Cf. M. Wagner, La lingua sarda, Berna 1951).
2. La variante naracu, derivata da nor-, fa pensare ad una triplice oscillazione, considerata la presenza nel Mediterraneo di nomi con radicale nar-, come Naraggara (con base narag- affine a nurac-), antica località tunisina, e riscontrabile anche nei toponimi sulcitani di Naracauli, Narocci, Narcao. Tuttavia per questi ultimi vocaboli si può pensare anche ad una derivazione da una radice nar- ben attestata nel sardo, spesso associata a fiumi e diffusa in àmbito tirrenico. (Cf. G. Paulis, I nomi di luogo della Sardegna, Sassari 1987).
3. La toponomastica sarda documenta numerosi confronti per questi nomi delle regioni tirreniche (cf. Paulis 1987). In particolare si richiamano per Norchia: Norcale di Bitti, Norchirè di Lodè, Norchià di Desulo, Norcu di Narcao e di Gadoni, Norcui di Seulo e di Aritzo; per Nortia si menzionano: Norti di Orotelli e Nortiddi di Onanì, Nortza (nuraghe) di Gavoi, e forse Nolza (nuraghe) di Samugheo.
4. La lingua sarda ha un corrispondente nel toponimo Pedra(s) Doladas. La locuzione Pedra doladas o taladas (la t in posizione intervoacalica diventa sistematicamente d tenue, mentre la o nasce per dissimilazione), identifica due diverse tombe dei giganti in territorio di Scano Montiferro e Silanus; in quest’ultima si trovano i menhir antropomorfi, e forse a questi deve riferirsi l’espressione perdas doladas, cioè “pietre scolpite, lavorate”. Taladas è un termine improntato sulla radice tal-/tel- che significa “tagliare”, e anche “ridurre a lastre”.
5. La radice tur- è la stessa dei vocaboli greci tureia “forma di cacio, di pane” e Tyrinthos (Tirinto), di formazione analoga a quella del latino turunda “focaccia”, e di diversi termini sardi come tu(ru)ndu “rotondo”, turta “torta”, tortolìa e tartalìa “la treccia delle interiora” da *turtalia “ritorta”.
6. Già Massimo Pittau (1980, 1984) aveva ipotizzato il significato di “torre, castello” per il nuraghe, ma par¬tendo dal nome Nora di un castello della Cappadocia e dalla supposta parentela con una lingua anatolica da cui sarebbe derivato il sardo-tirrenico. (Vd. anche Paulis 1987, p. XVIII). Invero tra i nomi anatolici e quelli sardi è possibile sia intercorsa un’antica parentela mediterra¬nea neolitica e calcolitica ma pare più probabile una derivazione occidentale dei pochi nomi anatolici in nor-, legata ai movimenti dei popoli del mare (Sardi/Shardana, Tirreni/Tursha) alla fine del II millennio, che hanno interessato anche Atene (Muro pelasgico) e l’Egeo settentrionale e le coste dell’Anatolia (Lemno, Tracia e forse la Lidia). Non vanno trascurati al riguardo i passi di Erodoto (II, 105) sul lino sardonico usato dai Colchi che, come i loro vicini Siri Cappadoci, stando ancora a Erodoto (I, 9, 72, 76; II, 104), erano popoli di estrazione mediterranea, che lo storico però fa discendere dagli Egizi per via dei loro costumi, tra i quali la circoncisione praticata anche, come sembra, dagli stessi Shardana.