L’articolo è tratto dalla Rivista delle tradizioni popolari italiane del 1893.
Veramente bello e singolare è il modo con cui in molti villaggi della Sardegna si suole onorare Sant’Antonio, il santo abate del deserto.
Distinguono quest’Antonio dall’altro, non meno venerato, di Padova, chiamandolo Sant’Antoni de ssu focu (Sant’Antonio del foco); e, coll’innalzare grandiosi falò, gli si paga il principal tributo di venerazione.
A Nuoro, i ragazzi fin da parecchi giorni prima della festa, pensano con trasporto e ragionano con viva animazione degli allegri e schioppettanti fuochi, che in quel di (17 gennaio) risplenderanno per la città;
già sembra loro arrivato il benedetto giorno e spiccano salti per l’allegrezza.
Quando al fine spunta l’aurora del 17 gennaio, balzano di letto rubando qualche ora al sonno, e corrono in giro gaudenti e festanti ad ammirare le grandi cataste coniche di legno, che troneggiano nelle piazze e nei crocicchi più spaziosi delle vie.
Vi girano tre o quattro volte attorno uscendo in esclamazioni della più alta meraviglia quando s’abbattono in una catasta più grande delle altre.
Questi ammassi di legna che .hanno forma conica, spesso raggiungono l’altezza di due o tre metri, misurando ala base un perimetro di cinque o sei metri. Nel mezzo è confitto un grosso fusto di quercia o di sughero o di altro simile albero, e spunta fuori dall’accozzaglia di rami, fronde secche e verdi, ond’è circondato, per mostrare allo sguardo attonito dei ragazzi quattro o cinque arance, che spiccano giocondamente sul verde-nero della catasta, e spesso dondolano scosse dal vento.
Queste cataste sono voti, che qualche ammalato fece nell’anno antecedente o nella prima quindicina del gennaio di quell’anno stesso per scampare dalla morte vicina: la maggiore o minore mole dipende dalla maggiore o minore ricchezza della persona che si legò col voto.
Talora però succede che per semplice devozione verso il santo abate, si riuniscano diverse persone, e con forze riunite accendano in suo onore un grande falò.
Ma già le fiamme alimentate da una buona quantità di gherdone (sughero di qualità inferiore), contorcendosi hanno avvinta la catasta, spingendo verso il cielo una densa colonna di fumo illuminato da gaie faville, e i ragazzi girano attorno al fuoco, sgattaiolando in mezzo alla gran folla di curiosi, che fa cerchio e si riscalda.
Quando infine le fiamme hanno divorato tutto, lasciando solo un mucchio di cenere e qualche tizzone disperso e abbruciacchiato, allora i ragazzi ed i giovinotti, fra mille grida di gioia, si dilettano di farvi su dei salti.
Frattanto arriva qualche devoto con una paletta a pigliarsi un po’ di brace, mentre qualche altro più spiccio piglia un tizzone e corre ad unirlo a quelli che scoppiettano nel suo focolare (fochilé) per meritarsi la protezione di Sant’Antonio.
Altri conservano la cenere ed i carboni, credendo che possano servire contro il dolore di ventre, ecc.
A Bosa sogliono offrire al Santo il fuoco, che si ha ardendo nel dì 17 gennaio tutto il legno che il fiume Temo travolse seco nelle piene e depositò lungo la sua riva.
A Mamojada (grosso villaggio del circondario di Nuoro) il santo abate ha un maggior tributo di venerazione che a Nuoro. Attorno al fuoco principale portano processionalmente la statua del santo.
Le cataste ordinariamente sono formate tutte di gardone (gherdone di Nuoro), e insieme cogli aranci vi sogliono sospendere anche mele, pere papassinos e talora anche dei sorci.
Mentre però a Nuoro i fuochi si accendono il giorno della festa, a Mamojada (come pure a Bosa) si accendono la vigilia quando incominciasi il vespro e stanno accesi tutta la notte.
Il giorno dopo mangiano diverse specie di dolci : su papassinu, su pane de mele o cocone de mele, e sas
caschettas.
Il papassinu è un miscuglio di farina di frumento, mandorle, noci, uva passa e sapa. Il cocone e mele è formato di sapa, zafferano e miele ; le caschettas sono composti con miele avviluppato entro pasta di frumento.
A Mamojada, come pure a Bosa e . nelle provincie meridionali della nostra penisola, si suole dare a bere ai ragazzi balbuzienti acqua benedetta nel campanello di Sant’Antonio, perchè guariscano della loro balbuzie.
Filippo Valla