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La Cripta del S. Sepolcro a Cagliari

La cripta del Santo Sepolcro, aperta al pubblico da circa due anni, è una camera funeraria utilizzata fino alla metà dell’ Ottocento, e successivamente riempita di terra. Della cripta se ne perse completamente memoria, fino al 1995, allorchè venne casualmente alla luce durante alcuni lavori di restauro al pavimento tardo-ottocentesco della chiesa.
Al suo interno fu ritrovato un antico altare per le funzioni religiose, affreschi, due ambienti adibiti ad ossario e numerose bare in legno, di cui alcune integre. Alla cripta si accedeva mediante una ripida scalinata a doppia rampa, originariamente chiusa da una botola in legno nel pavimento della chiesa.

La cripta, in parte scavata nella roccia ed in parte costruita in muratura, risale alla fine del 1600, ed ha pianta quadrangolare con zona presbiteriale quadrata. Sulle pareti laterali della cripta è rappresentata una fitta sequenza di drappeggi funerari bianchi su sfondo nero, mentre sulla volta del presbiterio è raffigurato in tempera a carbone un baldacchino nero. Al centro della volta è presente una immagine della morte di grandi dimensioni, raffigurata nell’ iconografia tradizionale come con la corona ed un mantello di ermellino, una lunga falce nella mano destra, ed una clessidra alata nella sinistra.

Sulla falce campeggia l’iscrizione Nemini parco, cioè Non risparmio nessuno.

Dal corpo principale della cripta si accede ad un ambiente di minori dimensioni sulla sinistra, con stucchi alle pareti in altorilievo, in forma di teschi coronati e tibie incrociate. Anche in questo ambiente le superfici laterali sono decorate da una fitta sequenza di bande verticali bianche, dipinte a risparmio su un fondo nero, che creano l’illusione di un tendaggio funerario. Probabilmente confratelli e consorelle della Confraternita del Santo Sepolcro erano sepolti in ambienti distinti.

La confraternita era stata fondata nel 1564 ed era nata con lo scopo umanitario di dare pietosa sepoltura alle persone sole o prive di mezzi di sussistenza.

Articolo scritto da Antonello Fruttu