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Balli in chiesa: tra devozione e trasgressione nella Sardegna del passato

Particolarmente in ambiente rurale, erano frequenti occasioni di incontro tra uomini e donne, come feste e balli, che spesso divenivano terreno fertile per comportamenti non sempre appropriati. Tra le condanne dei vescovi emergevano quelle contro i pernottamenti e i balli che, in occasione delle feste, si tenevano nelle chiese, soprattutto in quelle campestri e nelle loro vicinanze. L’obiezione a tali manifestazioni era dovuta non solo all’incompatibilità con la sacralità dei luoghi, ma anche alla “molta immodestia e disonestà” (mucha profanidad y deshonestidad), come espressa dal gesuita Francisco Antonio in una lettera del 1563, che li caratterizzava.

Che tali comportamenti fossero vietati non solo perché inopportuni per il luogo e il tempo in cui si svolgevano, ma anche perché immorali e peccaminosi, lo si può dedurre dall’inclusione di questi eventi, in certi periodi e in certe diocesi, tra i peccati che richiedevano la confessione al vescovo. Ad esempio, una ragazza sedicenne di Osilo alla fine del Cinquecento confessò ad un parroco di aver ballato in una chiesa e, poiché si trattava di un caso riservato al vescovo, questi delegò la facoltà di assolverla al parroco titolare, che la confessò e assolse.

In realtà, sebbene i balli nelle chiese potessero dare luogo a contatti sessuali trasgressivi, la popolazione li vedeva soprattutto come un atto di devozione. Lo stesso padre gesuita nella lettera citata precedentemente affermava che i gesuiti predicavano contro “i balli e i giochi (el baylar y jugar) che si facevano nelle chiese con il pretesto di devozione”.

L’inquisitore Alonso de la Pena, ad esempio, aveva assistito a uno di questi balli e aveva notato che “Quelli che loro chiamano balli, sono canti che i contadini presi per mano vanno cantando, girando in cerchio in onore del Santo che festeggiano”. Anche un manoscritto redatto in latino della fine del XVII secolo descrive uomini e donne che ballavano al suono della fistula o della cithara e della propria voce in modo onesto, e che dedicavano questo ballo al Santo come un voto espressamente per adempiere.

Le autorità ecclesiastiche nutrivano un forte sospetto verso il ballo in generale, come emerge da una relazione “ad limina” del 1694 dell’arcivescovo di Cagliari Sobrecasas alla Santa Sede: “In tutto il regno di Sardegna esiste un vizio, un erba nociva che deve essere estirpata dalle vigne del Signore. Infatti,nei giorni di festa e quando si fa quanche celebrazione di nozze o di qualunque altro evento gioioso,gli uomini e le donne mescolati assieme ed intrecciati gli uni con gli altri con le mani sogliono fare un ballo, chiamato comunemente ballo tondo ( bayle redondo). Ballano fino a provare persistenti sensazioni di piacere o a cedere alla stanchezza. Riunita una consulta di teologi di questa città (di Cagliari), ho ritenuto di dover proibire tali balli in quanto implicavano occasione prossima di insistite sensazioni di piacere e perfino di consenso in materia venerea a causa sia del contatto delle mani dell’uno e dell’altro sesso sia dei gesti, sia dei segnali che gli innamorati non si vergognano di porsi nelle mani, soprattutto quando nessuno li può vedere, sia della lunga durata del contatto o per altri motivi. Volendo rispondere al dovere del mio ufficio, ho proibito tali balli nella mia archidiocesi e nelle diocesi unite, comminando delle censure. A dir la verità. soprattutto nei giorni di carnevale si poteva vedere non senza dolore che, per essere assolte, venivano dame in massa ogni giorno moltissime persone alle quali avevo proibito di entrare in chiesa per aver violato il mio comando

I vescovi isolani post-tridentini spesso avevano espresso giudizi preoccupanti e negativi sui balli, indicandoli come “disonesti”, “indecenti”, “indecorosi”, “osceni e diabolici”……
Le proibizioni e le sanzioni al riguardo erano frequentissime: “nessuna persona di alcuna condizione o qualità osi ballare e cantare canti profani dentro le chiese“, “attorno alle chiese (dins lo circuit de las parets de la yglesia)… non permettessero a nessuno di vegliare, di mangiare e tanto meno di ballare, per rispetto alla casa del Nostro Signore Iddio e per evitare i pericoli e gli scandali che sogliono causare simili cose“.

Il Sobrecasas andò oltre le tradizionali condanne, proibendo in genere il ballo sardo e stabilendo che quanti vi avessero partecipato non potessero entrare in chiesa fintanto che non si fossero recati da lui a chiedere l’assoluzione della censura. Oltrepassava così i limiti della sua giurisdizione ed usurpava competenze che non gli spettavano, almeno direttamente. Con il suo intervento, in effetti, suscitò le rimostranze della gente e delle autorità civili per cui fu costretto a ritirare controvoglia la censura imposta.