Press "Enter" to skip to content

S’Accabadora su Il Foglio

L’accabadora
E’ la donna che nella tradizione sarda abbraccia per ultima il moribondo (e lo uccide)

Leggete e abbiate un pò di pazienza, tra qualche riga chiarisco tutto:
“La donna si accovacciava dietro al capezzale e stringeva la testa del morente tra le sue gambe. Lo accarezzava e cominciava a cullarlo come fosse un bambino. Gli cantava la stessa ninna nanna che lui si sarà sentito cantare dalla propria madre”
Oppure:
“La porta si apre e il moribondo dal suo letto d’agonia vede entrare la femmina accabadora. E’ vestita di nero e una delle sue gonne è sollevata a coprirle il viso. E’ arrivata l’ora. Lui da quel momento sa che l’abbraccio che avrà da quella donna sarà l’ultimo della sua vita.
In un altro referto documentario, al posto della accabadora troviamo la attittadora, l’allattatrice. Costei porge le -titte-, ma non ai pargoli, anche lei -allatta- un morente.
Di cosa stiamo parlando? Chi è l’accabadora?
Cosa stanno facendo, le donne che si accovacciano dietro il capezzale del morente, lo accarezzano, lo abbracciano, l’allattano?.
Come spuntano queste misteriose figure femminili? Diciamo subito che sono figure esistenti o comunque esistite, ben note al folklore della Sardegna: alla sua preistoria, cioè, ma una preistoria che si insinua fino alla metà del secolo scorso. Potrebbero essere, più o meno, nostre nonne. E perché è interessante rievocarne il ricordo? In un’epoca come la nostra, ansiosa di certezze e di radici in cui trovare la forza con cui opporsi alla dilagante, eversiva modernità prona ai miti e riti della tecnica devastatrice, è ben più che una tentazione affidarsi alla linfa che sale su dall’humus delle rassicuranti tradizioni:
Tornare alle radici!.

Come nelle tribù degli indiani

Consentite dunque anche a me di evocare una antica, mitica tradizione sarda.
Il nome accabadora viene probabilmente dallo spagnolo -acabar-, terminare; una ascendenza può rinviare al sardo -accabaddare-, che significa -incrociare le mani al morto-, o ancora -mettere a cavallo-, e quindi -far partire-. Ora, sicuramente, avrete capito di cosa stiamo parlando. Sì, l’accabadora era la donna che, su commissione della famiglia, uccideva il morente, il malato irrecuperabile, forse anche il vecchio divenuto un peso per la povera casa (un pò come presso certe tribù di indiani del Nordamerica, che usavano abbandonare fuori dell’accampamento, esponendolo così a morte sicura, il vecchio incapace di provvedere a se stesso).
In sostanza, era colei che pietosamente esercitava la pratica dell’eutanasia nella civiltà patriarcale, familiare, di Sardegna.
Le tecniche usate dall’accabadora erano varie, tutte eseguite con molta perizia, perché quelle donne erano -praticas-, conoscevano perfettamente l’anatomia, non sbagliavano, sia soffocando, sia strangolando il destinato, sia anche spaccandogli il cranio o l’osso del collo. Per quest’ultimo metodo poteva essere usato un giogo di buoi, un -giuale- fatto passare lentamente sul corpo disteso fino ad arrivare sul collo o sulla testa, dove veniva premuto così da provocare la morte immediata. In altre zone dell’isola si usava uno speciale mazzuolo (su mazzolu). Quello – forse l’unico rimasto- conservato nel museo etnografico di Luras, venne rintracciato nel 1981 in casa di una superstite -accabadora-.
Oggi è esposto in un diorama che rappresenta una tipica casa gallurese. E’ riprodotto in un ciondolo d’argento, richiestissimo dalle visitatrici del museo, che lo appendono sul seno quale scherzoso ammonimento contro i tradimenti dei loro uomini. A Desulo vive ancora un proverbio:
-Canno lompia est s’ora, benit s’accabadora- quando il tempo è compiuto, viene l’accabadora. Parleremo ancora delle tradizioni del tempo antico come di familiari certezze, di una solida barriera contro le tecnologie del nostro mondo dissacrato, laicizzato? Ma suvvia, dirà qualcuno, anche la tradizione va selezionata, radice per radice. Ahimè, nel momento in cui la selezioni, la tradizione non è più tale, con la sua aura, la sua sacralità rassicurante.
Si è anch’essa laicizzata.

Angiolo Bandinelli