
Un grimorio di formule proibite, una croce di legno d’ulivo incisa con antichi simboli e un’ampolla di acqua santa nella tua mano: questo è tutto ciò che ti separa dall’orrore che si annida nelle ombre della Sardegna. In questa storia, il protagonista è Su Predi Sculau.
Nessuno a Pauli ricorda il suo nome, né quanti anni abbia.
Non che importi, in un posto come questo, dove il tempo sembra scorrere come il vento tra le pietre dei nuraghi, lento e ostinato. Era solo il curato di campagna, un uomo qualunque con una tonaca sdrucita, che vagava tra le stradine polverose del villaggio con un sorriso timido e occhi che sembravano vedere oltre.
A Pauli lo chiamavano “il prete buono”.
Sapeva scacciare il malocchio con un sussurro e un segno della croce, benedire le case finché i muri smettevano di gemere di notte, guarire il bestiame con rituali che odoravano di erbe selvatiche e di qualcosa di più antico, qualcosa che i paesani non osavano nominare.
Ma c’era un fuoco in lui, una curiosità che bruciava come una febbre.
Non si accontentava delle preghiere domenicali o delle parabole della Bibbia.
No, lui voleva sapere.
Voleva capire le ombre che danzavano nei racconti degli anziani, le storie di Janas che cantavano nelle grotte, di Surbiles che succhiavano il sangue sotto la luna, di un’isola viva, pulsante di segreti che la Chiesa aveva cercato di soffocare.
La sua rovina arrivò in una giornata d’autunno, sotto un cielo color piombo, nelle campagne di Perd’e Soli.
Era lì per benedire un ovile, un gesto di routine per un prete di campagna.
L’aria sapeva di pecore e terra umida, e il vento portava un lamento che poteva essere solo il suo immaginario.
Una vecchina, curva come un ramo secco, lo aspettava accanto al muretto di pietra.
I suoi occhi, lattiginosi e ciechi, sembravano trapassarlo.
“Per il mio nipote,” disse, porgendogli un oggetto avvolto in un panno sporco. “Per la tua benedizione.”
Lui sciolse il nodo con dita tremanti, e lì, tra le sue mani, c’era un libro. Un grimorio, rilegato in pelle screpolata che sembrava respirare, con pagine ingiallite e scritte in un latino antico, intrecciate a simboli che si contorcevano sotto il suo sguardo. “È nostro da generazioni,” mormorò la vecchia, “ma nessuno sa cosa dice. Tienilo, prete. Tu saprai.”
Lui avrebbe dovuto bruciarlo. Avrebbe dovuto seppellirlo sotto una croce e dimenticarlo.
Ma non lo fece.
Tornato nella sua chiesetta, un tugurio di pietra con un altare che odorava di muffa, aprì il grimorio sotto la luce tremula di una candela.
Le parole lo chiamavano, lo trascinavano in un vortice.
Non era solo un libro: era una porta.
Ogni pagina rivelava frammenti di un sapere proibito, rituali che promettevano di squarciare il velo tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti.
Lui leggeva, notte dopo notte, mentre il crocifisso sopra l’altare sembrava guardarlo con disapprovazione.
Scoprì che le Janas non erano solo favole, che Maskinganna poteva essere evocato, che il vento stesso poteva parlare se sapevi come ascoltarlo.
E più leggeva, più il grimorio gli sussurrava: Puoi essere di più. Puoi sapere tutto.
La notte di Valpurga, qualche anno dopo, il prete fece ciò che non avrebbe mai dovuto.
Nella cripta sotto la chiesetta, circondato da cerchi di sale e simboli tracciati con il sangue di un capretto, recitò un rituale che il grimorio descriveva come “la chiave della verità”.
L’aria si fece pesante, il pavimento tremò, e poi… il nulla.
Un limbo, un vuoto che non era né cielo né inferno, ma qualcosa di peggio.
Lì, un’ombra lo trovò.
Non era un demone con corna e zolfo, no.
Era qualcosa di antico, qualcosa che conosceva il suo nome e rideva come se lo avesse sempre saputo.
Gli mostrò il segreto della creazione dell’uomo, una verità così mostruosa che frantumò la sua fede come vetro.
Dio? Un’illusione. La Sardegna? Un campo di battaglia per forze che non avevano nome.
Quando il prete tornò nel mondo, non era più un prete.
Era Su Predi Sculau, il decaduto, un uomo spezzato con occhi che vedevano troppo.
Gettò via la tonaca, lasciò la chiesetta a marcire e si rifugiò nel Supramonte, un eremita avvolto in stracci, con il grimorio come unico compagno.
Ma il sapere non lo lasciò andare.
Studiò, sperimentò, e scoprì poteri che lo spaventavano e lo seducevano.
Con la sua croce di legno d’ulivo, inciso con simboli che bruciavano al tocco, poteva scacciare le ombre.
Con l’acqua santa, che ribolliva in presenza del Male, poteva purificare le case infestate.
La gente dei villaggi, terrorizzata e disperata, iniziava a cercarlo.
“Su Predi Sculau,” sussurravano, “l’unico che può combattere il diavolo.”
Lui li aiutava, non per fede, ma per un senso di colpa che lo divorava.
Ogni rituale, ogni vittoria contro una Surbile o un’ombra senza nome, lo trascinava più a fondo in un mondo di orrori esoterici, un mondo che lo aveva scelto e non lo avrebbe mai lasciato andare.
Fine del primo episodio.
Secondo episodio: Il supramonte non dorme mai





