Aveva lavorato tutta la mattina me Is campus de Monti a caricare la legna sul carro disponendo in modo ordinato, come la lunga esperienza gli suggeriva, i tronchi di leccio, di filirrea, corbezzolo, dai più grossi ai più sottili, colmando così il robusto carro che i pazienti buoi avrebbero poi trascinato fino al paese, al pomeriggio.
A mezzogiorno il carico era ultimato. Ziu Bissenti Piras si dispose a consumare il frugale pasto che la moglie gli aveva posto nella munciglia, lo zaino de is omins de satu (uomini della campagna): pane, formaggio, olive in salamoia e una croccoriga (zucca) con del buon vino rosso.
Ultimato il pasto, si concesse un breve riposo, giusto per facilitare la digestione, poiché non poteva permettersi certo una lunga sosta: il cammino era lungo e il giogo dei buoi avrebbe avvertito la fatica di trascinare il pesante carico, soprattutto quando sarebbe iniziata Sa Pesàda Manna, proprio prima di Bingiomigu, all’ingresso del paese.
Perciò, dopo un paio di minuti che restò steso all’ombra del carro, attaccò i buoi al giogo incitandoli e chiamandoli per nome: «Ajò, Ogus Bellus, ajò, Incaradì! Est ora de nci dda furriai!» [Forza, Occhi Belli, forza, Affacciati ! E’ giunta l’ora di andare!].
In breve il carro era pronto a partire e il viaggio di ritorno ebbe inizio. I possenti buoi procedevano a passo lento e misurato e ziu Bissenti si doveva limitare solo raramente a incitarli. La strada era infatti per lo più pianeggiante e non c’era bisogno di particolare sforzo per tirare il carro. Arrivati in regione Bassella, la strada procedeva leggermente in salita, una salita per modo di dire, dato che non aveva mai richiesto prima particolare sforzo al giogo. Eppure l’occhio esperto di ziu Bissenti si accorse di un impercettibile rallentamento dei possenti buoi. Si stava chiedendo cosa potesse aver provocato quell’insolito rallentamento, quando le due bestie si fermarono all’improvviso, come se un invisibile muro si fosse parato loro davanti.
Ziu Bissenti si pose davanti al giogo afferrando la cavezza di uno degli animali e incitandoli con parole piene di tenerezza e di incitamento: «Ma si podit sciri ita teneis? Eh, Ogus Bellus, eh, Incaradì? Si sindi oléis movi ?» [Ma si può sapere che avete? Eh, Occhi belli, eh, Affacciati? Vi volete muovere?]. Ma niente: le due possenti bestie restavano ostinatamente immobili, come se una forza misteriosa le tenesse incollate al suolo. Ziu Bissenti si grattò il capo perplesso e intanto si aggirava con curiosità attorno al carro cercando di trovare quale ostacolo gli impedisse di avanzare.
Ma non trovò nulla, nessun ostacolo visibile appariva al suo sguardo indagatore.
«Ma ita dimoniu…» fece a tempo a pronunciare. La sua sorpresa aumentò quando si ritrovò davanti uno sconosciuto, elegantemente vestito che gli chiese con maniere gentili:
«Scusate, buon uomo, non è che avete un po’ d’acqua per dissetarmi?».
Lo stupore di ziu Bissenti fu tale che sulle prime rimase ammutolito, incapace di apri bocca. Poi, da uomo pratico e concreto, riprese l’autocontrollo e rispose gentilmente, in italiano:
«Ma certo, signore!» e gli porse su frascu (1) dove conservava l’acqua fresca. L’uomo prese il contenitore dell’acqua e bevve un sorso. Poi lo riconsegnò e ringraziò, aggiungendo:
«Sentite, buon uomo,sareste così gentile di indicarmi la strada per Magusu? Le devo chiedere la cortesia di accompagnarmi. La ricompenserò generosamente!»
«Ah, sì, Magusu (2)! Vede quella cima? E’ proprio lì» rispose ziu Bissenti e, con un cenno del braccio gli indicò la direzione.
Ma il misterioso personaggio insisteva che voleva esservi accompagnato personalmente.
Ziu Bissenti cominciò a provare una strana inquietudine. Sapeva di dover consegnare il carico della legna, di dover scaricare il carico, riportare i buoi a casa, liberarli dal carro e sistemarli nella stalla. Non poteva assolutamente perdere tempo con quello sconosciuto. Ma l’uomo insisteva. Ziu Bissenti lo fissava, come ammaliato e più lo guardava più la sua inquietudine cresceva. L’ansia divenne ben presto terrore quando lo sguardo cadde ai piedi dello sconosciuto. Solo allora ziu Bissenti si accorse che quegli non portava le scarpe e che al posto dei piedi erano oscene zampe di caprone!
Ziu Bissenti, come tutti i Villacidresi, era assai devoto a san Sisinnio e ogni anno, la prima domenica di agosto, partecipava con i suoi buoi, riccamente agghindati con nastri multicolori, alla processione che da Villacidro si snodava tra le colline, fino alla rustica chiesetta a lui dedicata. E da buon devoto del santo cidrese, conservava nel portafogli che teneva nella tasca del corpetto, un’immaginetta del santo.
Istintivamente portò la mano destra nella tasca ed estrasse fulmineo il portafogli, da cui tolse lestamente l’immaginetta. Contemporaneamente urlò: «Santu Isinni, agiudaimì (San Sisinnio, aiutatemi!) ».
Nel medesimo istante si sollevò un vortice d’aria intrisa d’un penetrante odore di zolfo e il misterioso viandante improvvisamente sparì .
Ziu Bissenti si fece un cenno di croce e subito, da uomo disincantato e realista qual era, riacquistò la solita calma e riprese ad occuparsi del giogo dei buoi per vedere come poteva farlo ripartire.
Mentre ancora una volta faceva il giro del carro, si accorse, al bordo della strada, dalla parte della montagna, di una strana sporgenza che prima non aveva notato. Sembrava come una bolla che fuoriusciva dal terreno.
«E custu, it’est?» si disse ziu Bissenti e, col pungolo che usava per incitare i buoi, diede un colpo alla strana protuberanza. A seguito di questo gesto, vide apparire sotto il terriccio, quella che gli sembrò l’ansa di una brocca di terracotta. Con un po’ di titubanza ma anche con una segreta speranza, ziu Bissenti prese a spostare il terriccio con le mani, aiutandosi un una pietra e ben presto al suo sguardo stupefatto apparve una grossa giara ripiena di monete d’oro!
«Santu Isinnui miu! Seu arriccu! (San Sisinnio mio! Sono ricco!)» esclamò. Ripulì la giara dal terriccio e dopo un non breve lavoro la liberò del tutto: era più grande di quanto aveva supposto a prima vista. Dovette faticare un po’ per sistemarla sopra la legna del carro. Poi ricoprì il tesoro con dei rami versi di lentischio e riprese la strada verso Villacidro. Anche i buoi parevano elettrizzati per il lieto evento accorso al loro padrone, tant’è che fecero Sa Pesada Manna senza particolare sforzo e in breve giunsero in paese. Ma intanto il pomeriggio era trascorso. Ziu Bissenti dirottò il carro a casa sua e non a casa del destinatario del carico. Mandò però un suo figlio ad avvertire questi che per quella sera non avrebbe scaricato il carro poiché ormai si era fatto tardi. Avrebbe consegnato la legna l’indomani mattina.
Poi, a notte inoltrata, quando tutti dormivano, salì sul carro e tirò giù il prezioso tesoro che provvide a occultare nella stalla dove alloggiavano i buoi, nascondendolo dietro le balle della paglia.
Non rivelò mai a nessuno l’esistenza di quel tesoro.
Da uomo saggio e devoto qual era, donò una grossa somma al Comitato per i festeggiamenti di San Sisinnio che quell’anno organizzò una festa che rimase a lungo nella memoria dei Villacidresi.. Il resto lo investì pian piano per far crescere i suoi tre figli. Solo in punto di morte rivelò al figlio maggiore la verità sull’improvviso, quanto inspiegabile, benessere che era arrivato nella sua famiglia.
1) Frascu: fiasco di terracotta per conservare l’acqua.
2) Magusu: Montagna di Villacidro la cui etimologia farebbe risalire al termine “mago” e quindi montagna legata alla magia e alle pratiche delle streghe.