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Su Cogheddu

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Quand’ero bambino, le notti d’estate, si stava a giocare fino a tardi e capitava che, per farci stare quieti, le donne anziane raccontassero fantastici racconti che a noi ragazzi facevano correre insieme brividi di paura e di eccitazione lungo la schiena, specialmente quando parlavano di cogas.

In genere quest’essere terrificante era una donna, ma una volta mi è capitato di ascoltare un racconto che aveva per protagonista un maschio, un cogu, appunto.
Tanti e tanti anni fa, ai primi anni dell’800, in una famiglia era nato un bambino e, come si usava allora, spesso lo si coricava nel letto dei genitori anziché nella culla. Era d’estate e il bimbetto addormentato riposava adagiato nel lettone. Poiché faceva molto caldo, la finestra della camera da letto era spalancata per far entrare un po’ d’aria. A un certo punto la mamma si accorse che un gatto nero, scavalcando la finestra, era penetrato nella stanza dove riposava il figlioletto e una paura terribile le invase il cuore! Sapeva che le tanto temute cogas amavano assumere le sembianze dei gatti per compiere il loro tragico rito, quello di succhiare il sangue ai neonati.
Invocando san Sisinnio, il santo villacidrese iscongiuradori e scacciacoga la donna avvertì il marito che la rassicurò dicendole:
«Abarra tranquilla, ca ci penzu deu! (Rimani tranquilla, chè ci penso io!)».
In quei tempi la caccia era molto diffusa e anche il padre di questo bambino era un cacciatore. Allora si usava appendere nella testa del letto il fucile. In punta di piedi il padre si avvicinò allo schioppo cercando di non farsi scorgere dal gatto-strega. Rapidamente lo imbracciò e in quella il gatto si accorse del pericolo e fece per scappare. Ma proprio mentre si trovava sul davanzale della finestra e stava per dileguarsi nel buio, fu raggiunto a una zampa da una fucilata e corse via zoppicando e miagolando dolorosamente.
L’indomani ziu Antonicu, che aveva sempre goduto ottima salute, fu visto zoppicare vistosamente, appoggiandosi a un bastone.
«E it’est, cassau hasi? Deu gei ddu narau ca fiasta ‘u cogu! (Le hai prese, eh? Lo dicevo io che eri un cogu!)» pensò soddisfatto il padre di quel bambino, alludendo alla ferita procurata la notte prima al gattaccio.
E da quel giorno a ziu Antonicu fu appiccicato il soprannome di cogheddu (piccolo cogo).

Gian Paolo Marcialis