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Is brebus de Zia Mariagiuseppa

Quand’ero piccolo (avrò avuto sette-otto anni) a casa mia allevavamo conigli. Ne avevamo parecchi e tutti discendevano dalla capostipite che avevamo chiamato Antonietta.

Era un magnifico esemplare, dalla taglia molto grossa e aveva la caratteristica di essere molto prolifica.
Ricordo nidiate anche di 18 coniglietti! Non tutti sopravvivevano, ma una buona dozzina riusciva a tirarli su. Col passare degli anni Antonietta (o Antoniettedda, come la chiamavamo noi bambini) era diventata un’istituzione. Non ci sfiorò mai l’idea di ammazzarla, come si faceva con gli altri suoi simili e perciò era come un’icona vivente, da tutti ammirata e coccolata.

A casa avevamo l’abitudine, ogni tanto, di liberare nel cortile tutti i conigli che potevano così sgranchirsi le zampe e offrire un insolito spettacolo ai passanti e vicini di casa.
A quei tempi (negli anni’50) a Villacidro c’erano numerosi cacciatori e non era raro vederli transitare nelle vie del paese con il fucile a tracolla. Una mattina passò ziu Antonicu che portava il fucile a tracolla. Si avvicinò al portone e osservò quello stuolo di conigli che si muovevano liberamente nel cortile. Tra una chiacchiera e l’altra con mio padre, si tolse il fucile dalla spalla e puntatolo addosso ad Antonietta disse per scherzo:
«Immoi dda sparu!» (Adesso le sparo!).

Naturalmente non lo fece, limitandosi a mimarne l’azione. Poi se ne andò.
La sera stessa Antonietta accusò i primi sintomi di uno strano malessere: rimase accovacciata e immobile in un angolo, senza mangiare. Il fatto si ripeté nei giorni seguenti: restava sempre immobile, senza mangiare tant’è che cominciò a deperire e nel giro di una settimana era ridotta a pelle e ossa. Non moriva ma era evidentemente sofferente e colpita da qualche grave morbo. Visto che non si riusciva a capire cosa le stesse capitando mia madre pensò di farla vedere da zia Mariagiuseppa, una vecchia del paese, famosa perché conosceva e praticava is brebus che spesso risolvevano situazioni impossibili.
Così, una sera mia madre e io andammo con Antonietta dentro una scatola di cartone a casa della guaritrice.
Arrivati, la vecchia osservò a lungo la coniglia e finalmente disse in tono grave:
«Iscùra…è pigàda in ogu! Portat su coru spaccau!» (poveretta…ha il malocchio! Ha il cuore spaccato!).
Allora iniziò il rituale di guarigione del quale conservo indistinti ricordi. Recitò in segreto is brebus e poi, rivolgendosi a mia madre:
«Bai cun Deus –disse- ca sa coilla gei sanada ! » (Vai con Dio, ché la coniglia di sicuro guarisce).
Il giorno stesso Antonietta riprese a mangiare e nel giro di alcuni giorni riacquistò prodigiosamente l’aspetto florido e sano di sempre. Visse ancora alcuni anni, fino a quando morì di vecchiaia.