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Il Sanguanello italiano e Maschinganna: similitudini

Nella tradizione sarda sono diffuse le leggende su un folletto alquanto dispettoso, simile quasi in tutto e per tutto ad altri folletti presenti in Italia: Maschinganna.
Ne ho scritto in questo articolo 

Nei monti e nelle campagne della penisola italiana è comunissima
la leggenda del Sanguanello o Salbanello, un gnomo svelto,
malizioso, beffardo, che nella tradizione popolare si descrive
come sempre vestito di rosso.
Estremamente dispettoso si diverte ad arruffare la criniera dei cavalli e le code delle vacche, fa smarrire la strada ai viandanti, scompiglia i capelli delle ragazze e pettina al contrario quelli dei bimbi.

I popolani vedevano ovunque questo spiritello che non aveva una sua dimora specifica.
Si trovava nei boschi, nei cortili delle case coloniche, nelle stalle, nelle grotte e nelle miniere.
Narra infatti tale Giuseppe Golin dal Tretto, vissuto nel XVI secolo di come alcuni canoppi (in gergo minerario un canoppo comprendeva uno scavatore con due manovali), che lavoravano nella vena di terra bianca (gesso), detta la Regina, non sapessero più in quale modo custodire i loro attrezzi perchè il Salbanello li nascondeva sempre: a nulla valeva il chiudere la porta a chiave e sigillare la
serratura.
Gli offrirono allora un saietto di panno rosso, ed il Salbanello non diede più fastidio.
Golin chiude così la sua leggenda : «Dicono li canoppi, che mai si ritrovano vene di sorte alcuna che non vi sia o non si senta il Salbanello, che è di guardia di esse e batte nel monte poco lontano, e quanto più si sente, tanto più si è certi di trovare la vena ».

Le varie leggende che si intrecciano sulla figura del Sanguanello non escludono la custodia di tesori nascosti. I racconti popolari lo descrivono quasi esclusivamente come uno spiritello malizioso, famigliare, che s’immischia nelle faccende più volgari della vita, e si diverte ad intralciare l’opera di chi lavora: le sue beffe generalmente non sono dannose, benché i suoi scherzi siano talvolta crudeli.

Un montanaro raccontò che il Sanguanello si divertiva anche a portar via i bambini. Raccontò che il folletto rapì un bambino del paese di Marcesina, e lo tenne per otto giorni nascosto in uno dei tanti fori, che si aprivano nel monte detto  “i Castelloni di San Marco”.
Il povero bimbo, quando venne ritrovato da alcuni caprai, era quasi impazzito dallo spavento.
Generalmente i contadini, i quali mostravano di credere con serietà al Sanguanello, non sentivano per esso tutto quel terrore superstizioso che provavano quando nelle loro stalle ragionavano gravemente del diavolo, delle streghe, dei morti.

Ci sono diverse teorie sull’origine di questo folletto. La più probabile è la derivazione di Sanguanello dal Silvanus della mitologia romana, il cui carattere agreste, innocuo, boschereccio ben si confà d’altronde a quello del nostro folletto, le cui origini perciò non sono da cercarsi nelle leggende germaniche.
Fra il popolo si sentiva spesso attribuire al folletto quel senso di oppressione che talvolta disturba i sogni durante la notte e talvolta sono creduti ispirati da esso i sogni voluttuosi.
Questo senso di oppressione, quest’incubo è detto dialettalmente pesarólo, analogo al sardo Ammutadori e nel contado lombardo e  subalpino salvan, sarvan, servan, e nomi in cui è facile riscontrare la stretta attinenza col Sanguanello, che ci appare quindi anche sotto quell’aspetto lascivo che formava parte del carattere del romano Silvanus.

L’incubo è detto dai Francesi cauchemar e dagli Inglesi nighitnare, che sono terminati entrambi dalla voce teutonica mara, cioè diavolessa, diavolo, incubo, incuba.
Tra gli alpigiani questo nome non è ignoto : infatti tra Rotzo e Roana si apre una valle, tributaria della Valdassa, assai ricordata nelle leggende popolari, che si chiama Marihai che può essere tradotto come Val della Mara, cioè Valle del folletto dell’ incubo.

Nel linguaggio cimbrico l’incubo veniva chiamato anche Drula o Truia, e se si vuol derivare da druken (premere) e dall’antiquato druk (pressione), si può ancora identificare il nostro Sanguanello nello spirito chiamato con tal nome.
Il paziente per liberarsi da questo soffocamento, avverte il Dal Pozzo, deve pronunziare queste parole : «Druyd Kotnmorgen, so vii ich porgeri », cioè : «spirito dell’incubo vieni domani che ti vo’ tener celato».
Nella notte di San Walpurga, con creta benedetta, gli alpigiani formano sulla porta delle stalle una figura pentagonale, detta volgarmente Segno di Salomone, perchè lo spirito non entri a nuocere il bestiame. 

Il Sanguanello ha delle analogie con esseri fantastici di altre leggende italiane: per esempio, nel Monferrato si ritrova un folletto che, come il Domovoi dei Russi, il demonio che cavalca nelle notti il bestiame, arruffa i crini ai cavalli, e annoda in modo inestricabile le chiome alle belle ragazze; nella zona di Pisa troviamo il Linchetto, che si comporta nello stesso modo, mentre ad Osimo sono le streghe a fare simili scherzi.
Nelle leggende del Bergamasco è viva la credenza in un folletto malizioso, che per ingannare le donne si trasforma in gomitoli, in vestiti ed in altre cose usabili per scomparire all’improvviso e deridere la malchapitata dall’alto. Si chiama Orco.

Il Sanguanello ha notevoli analogie anche con il Farfareddu siciliano, il quale non è altro che il farfarello di Dante.
Si tratta di un buon diavoletto, bizzarro, spiritoso, capriccioso : si diverte a far perdere la pazienza ad una devota che recita il rosario, interrompendoglielo con chiamate indiscrete; sposta gli oggetti appena sistemati per cui non si riesce più a trovarli, suona i campanelli delle case, fa smarrire i viandanti. Ha poi certe debolezze tutte sue : quella, per esempio, di posarsi sul ventre o sul petto delle persone, generando degli incubi nei malcapitati e l’altra di non sapere star senza un cappiduzzu che tiene sempre in testa e che a nessun patto gli si potrebbe far lasciare, similmente al nostro Pundacciu .