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Il pozzo dei Cappuccini

Il pozzo ha un imbocco di cm. 55×185 ed una sezione leggermente più larga, di cm 140 x 265. Il basso parapetto rettangolare è protetto da grata metallica che lascia intravedere l’acqua. E’ profondo circa 50 metri, di cui circa 25 con acqua, ed ha pareti impermeabilizzate da uno strato di malta cementizia.

Quattro rampe di scale in ferro poggianti su piattaforme metalliche distanti sei metri l’una dall’altra, oggi in condizioni di stabilità molto precarie , consentivano di scendere nel pozzo fino al pelo dell’acqua per le periodiche manutenzioni. Proprio la buona qualità dell’acqua rendeva famoso il pozzo: quell’ acqua era la preferita dai sovrani sabaudi durante i loro soggiorni a Cagliari: da qui l’appellativo di Mitza de su Rei, con cui il pozzo è ancora conosciuto a Cagliari.

Lo Spano riporta la notizia nella sua “Guida” del 1861, ed il Cugia, nel suo Itinerario dell’Isola, alla fine dell’800 considera ancora l’acqua del pozzo come la migliore acqua sorgiva della città di Cagliari. Il pozzo fu al centro di una grande ripulitura nel 1846, alla ricerca di un acquedotto romano ancora attivo che si supponeva scorresse alla base del pozzo.

Era stato l’architetto Efisio Tocco, convinto assertore dell’idea che l’antico acquedotto romano di Cagliari provenisse dalle alture di Dolianova e non dalle colline di Domusnovas, a sollecitare l’indagine sul fondo di quel pozzo. Proprio da quel pozzo i Cappuccini del convento asserivano di trovare talvolta nei secchi con cui prelevavano l’acqua foglie di piante di montagna non presenti nei dintorni di Cagliari.

Inoltre era nota la presenza sul fondo del pozzo di un grande pietrone squadrato. Partirono così grandi lavori, finalizzati a ripulire il fondo e soprattutto a sollevare il grande pietrone e verificare l’esistenza dell’antico acquedotto romano al di sotto. Furono rimossi oltre 30 metri cubi di terreno, fu localizzata e raggiunta la grande pietra sul fondo.

Con grande spiegamento di mezzi questa venne imbragata dai soldati del Genio Militare, e portata su per cinquanta metri con l’impiego di funi e cavalli. Nel timore che, una volta sollevata la pietra, l’acqua schizzasse su con troppa violenza e causasse disastri, i soldati avevano addirittura ricevuto l’ordine di tenere lontana la gente. L’impresa si rivelò invece un gigantesco fallimento: tra la delusione generale si constatò che la grande pietra sul fondo del pozzo poggiava sulla nuda roccia, ed al di sotto non vi era nessuna traccia di acquedotto.

La cosa finì con una singolare contesa giudiziaria tra l’Amministrazione Sabauda, che reclamava dal Consiglio Civico della città una partecipazione alle spese sostenute, e quest’ultimo che categoricamente rifiutava, sostenendo di non aver mai deliberato niente in tal senso!

Tratto da http://www.provincia.cagliari.it