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Il cacciatore sardo e il Diavolo

Il cacciatore sardo e il Diavolo

Il cacciatore sardo crede alla influenza del diavolo nella caccia.
Quando si reca ad una battuta, desidera di essere mandato in malora. . . al fine di propiziargli Satana…
Egli considera il bruno signore arbitro della buona riuscita, padrone della selvaggina, che suole dispensare ai suoi prediletti…
In conferma, racconto questo fatto, capitatomi or sono pochi anni.

Mi ero recato a caccia, ed aveva battuto in lungo ed in largo tutta una boscaglia senza però colpo ferire.
Ero stanco e scoraggiato, e stavo per rifare i miei passi… allorché, nello svolto di un sentiero, mi trovo faccia faccia con un vecchio cacciatore.
Era bianco per l’antico pelo, però vegeto, aitante, e vestiva in costume logudorese; aveva in spalla lo schioppo, ed a tracolla un carniere colmo di selvaggina, cui diedi uno sguardo d’invidia profonda.
Venutomi presso, il vegliardo mi salutò bonariamente, volgendo anch’egli lo sguardo sul mio carniere, vuoto come la borsa di un contribuente; indi mi chiese:
— Non avete fatto punto caccia?
— Punto, punto! — gli risposi.
— Caspita! vuol dire che “sua altezza” non vi è propizia, oggi…

A queste parole strane, guardai in volto il mio interlocutore, non fosse per prendersi gioco di me; se non che, con mia sorpresa, il vegliardo continuò con solennità:
— Sicuro, se per malavventura “sua altezza” fiera le corna nelle cose nostre, si ha un bel correre la campagna, non si piglia un fringuello!
— Di grazia — interruppi allora il mio uomo — di chi intendete parlare con questa vostra “altezza” ?
— Del diavolo in carne ed ossa, signore ! . . . — e vedendo che io abbozzava un sogghigno:
Già — soggiungeva — i giovani d’adesso non credono al diavolo !
— Voi dunque ci credete? — gli chiesi.
— Come non dovrei crederci, se l’ho veduto con questi miei occhi?
— Davvero? Toh, sarei ben curioso di sentirne la descrizione.

Allora il vecchio cacciatore calò di spalla il fucile, m’invitò a sedere e sedutosi anche lui al mio fianco, con aria inspirata, ripigliò lo strano suo dire:
— Sappiate, anzitutto, che il diavolo è il padrone di tutta la selvaggina, grossa sia o minuta; egli la governa dispoticamente, ed è tutta sua mercè se vi accade di far caccia abbondante, oppure ve ne torniate a casa colle pive in sacco.
Il vostro fucile fa cilecca? il vostro colpo ha di gran lunga fallito? È lui che vuole così… e tutti i disastrosi accidenti che avvengono nelle cacce sono opera del tenebroso signore.
Egli non si lascia vedere; ma, per certo egli vi vede… oh, se vi vede!
Quante, quante sghignazzate farà egli alle vostre spalle!
Pure, se voi avete il coraggio, dirò meglio, la temerità di vederlo, io vi so dire il giorno, anzi la notte e l’ora in cui Satana si svela in tutta la sua terribile maestà.
E appunto nella notte di San Giovanni, e precisamente verso la mezzanotte del ventiquattro giugno!
In quell’ora, il bruno signore inforca il suo formidabile destriero e passa in rassegna l’esercito innumerevole dei selvatici.
Io lo vidi, in quella notte, in quell’ora fatale e ne ebbi tale spavento, da non venirmi più voglia di rivederlo!

Qui il vegliardo fece sosta; si raccolse un poco, come se volesse richiamare alla mente la strana visione, cui aveva assistito; indi, sempre più inspirato, continuò:
— Me ne stavo appiattato dietro un macchione, in attesa del cinghiale.
La notte era calma; non stormiva una foglia.
Le stelle brillavano in modo insolito: sembravano tanti occhi dilatati per la curiosità.
Scoccò la mezzanotte…
Quel lungo e monotono rintocco, che veniva dal campanile del vicino villaggio, con quella solennità, in quel silenzio profondo, fece nell’animo mio una strana impressione.
Ad un tratto, subito dopo la mezzanotte, come per improvvida bufera, gli alberi agitano per l’aria le loro braccia poderose, e scorgo pei varchi del bosco correre a branchi volpi, lepri, scoiattoli, corvi e cinghiali; e svolazzare sugli alberi torme numerose di uccelli notturni. 
Appresso odo come il fragore di un tuono accompagnato dal guizzare di un lampo.
Ed ecco farsi innanzi un cervo di gigantesche proporzioni.
Le sue corna erano così grandi da sembrare due alberi… i suoi occhi eran grossi e sprizzavano faville: e dalla sua bocca, e dalle sue narici uscivano guizzi di fiamme.
Era di colore oscuro, quasi fosse impegolato.
Ma ciò che maggiormente mi impressionò, anzi destò in me raccapriccio, fu il vedere assisa sulle groppe del cervo immane una stranissima figura.
Era un mostro dalle membra atletiche, che aveva dell’uomo e della belva.
La sua testa era conformata a guisa di quella del capro; aveva corna lunghe e ritorte, e barba prolissa, che gli scendeva sul petto velloso.
Il suo viso era di uomo; i suoi occhi, grossi come quelli del bove, erano accesi come due brage.
Le gambe aveva storte, i piedi forcuti e guizzava in alto una coda con cui flagellava i fianchi della bestia che inforcava.
Questo immane mostro, che altri non era che Satana in persona, mi guardava fisso fisso e mi sorrideva.
Per più volte tentai di sollevare la canna del mio schioppo contro di lui, ma essa ricadeva in terra, perchè mi mancava la lena.
Allora mi ricordai, che vi era pur un mezzo per vincere il mio timore.
Bastava che io avessi in potere un ramo di tasso… e vidi presso di me un albero di tasso, da cui strappai un ramo.
E vedete, portento! subito dopo, come per incanto, svanì la spaventosa visione.
Udii solo un lungo e terribile muggito, mentre scorgeva a me vicino, grufolando nel brago, un canuto cinghiale cui feci saltar le cervella, con un colpo del mio fucile.

Così terminava il fantastico racconto quel vegliardo cacciatore.
Alla fine, io tentai di persuaderlo che quanto egli mi aveva raccontato non poteva essere che l’effetto di un sogno; ma egli non mi diede retta.
In conferma del suo dire, mi fece vedere un ramo secco di tasso, che teneva chiuso in una borsetta di pelle, appesa al collo, per virtù del quale in quella notte fu liberato dalla diabolica visione.
Indi a poco, il vecchio si accomiatò da me; ed io, rifacendo i miei passi, pensava allo strano uomo ed al suo più strano racconto, che era poi la conferma della credenza nel diavolo dei seguaci sardi di Sant’Uberto.

Lanusei, 1894. M.Cossu