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Filadas – Caprari nel Gerrei

Ogni volta che mi capita di andare in montagna, nei supramontes in particolare, non faccio mai a meno di notare quanti animali allo stato brado ci sono: vacche, maiali e capre. Mi sono sempre chiesto come facciano poi gli animali a tornare all’ovile, dopo aver vagato per un giorno intero tra i calcari.
Una risposta può darla il libro, frutto della ricerca di Carlo Maxia, “Filadas – Caprari nel Gerrei“.

Ringraziamo l’autore per le informazioni presenti in un articolo già pubblicato su Contusu “La proprietà della terra” e vi proponiamo la prefazione del libro a cura dell’antropologo Giulio Angioni.

“Carlo Maxia si occupa, acquisendo gli strumenti e la sensibilità dell’antropologo, di allevamento caprino tradizionale in Sardegna da quando, dieci anni fa, ha iniziato la ricerca sul campo per la sua tesi di laurea, occupandosi del lavoro e della vita dei caprai di Villasalto. Già da allora, senza trascurare la descrizione puntuale di quest’attività produttiva, egli era attratto da come i caprai del Gerrei parlavano e pensavano di se stessi, del loro lavoro, del loro continuare un mestiere antico nel mondo di oggi. Azioni, regole e mondo simbolico, questo è, a tutto tondo, l’ambito di interesse di Maxia per questo piccolo mondo dei caprai sardi, e in particolare del Gerrei.

Filadas caprari nel gerreiDai modi del pascolo (sa filàda) ai rapporti tra caprai e altre figure sociali locali e no (forme contrattuali di cooperazione produttiva come quella a cumpàngius), a come, per esempio, la capra è utilizzata per rappresentare aspetti importanti della propria vita, come le virtù della donna amata, o a come l’immagine della capra in quanto animale allevato e spesso esplicitamente prediletto, assume caratteri opposti a quelli della pecora, e quindi dei pecorai, considerati negativamente per lo stile di vita meno attivo e i blandi ritmi del lavoro.
Carlo Maxia è interessato e attento a come il lavoro dei caprari, di grande impegno ed esercizio fisico, richiede che il corpo stesso di coloro che “lavorano le capre” diventi uno strumento adatto allo scopo.
Il corpo come oggetto tecnico poi sta alla basedi una “estetica del lavoro” che a sua volta deve inscriversi in una“etica del lavoro”. Insomma, estetica ed etica del lavoro divengono senso e sostegno per agire in un certo modo reperendo la bontà e la soddisfazione del proprio agire. Nella “con-fusione” di etica ed estetica trovano luogo esperienze pratiche come adeguatezza della materia (tecnica) alla materia (natura), ma anche esperienze più facilmente riconducibili alla sfera culturale ed a quella sociale: confronto con gli altri, esibizione ed ostentazione del “saper fare”, competizione, dialogo, aiuto reciproco: cose, queste, discernibili dal ricercatore sia in incontri occasionali fra pastori al bar come in campagna, sia nell’osservazione dei rapporti più specifici e continuativi dei “vicini di ovile”.

La relazione tra “vicini di ovile” attualmente si esprime come ultimo luogo socio-produttivo della reciprocità, vero e proprio concentrato della presenza umanain un contesto deserto di umanità, dopo il drastico abbandono ditutta una serie di attività produttive, dove l’agricoltura conness aall’allevamento spiccavano sino a una cinquantina di anni fa. L’abbandono dell’attività agricola, soprattutto di quella cerealicola di montagna e di alta collina, legata alla sussistenza e realizzata in fazzoletti di terra abbarbicati lungo i costoni pietrosi dei rilievi, stimola oggi il ricorso a pratiche pastorali quasi certamente tra le più arcaiche: l’uso di spazi amplissimi, per nulla (o quasi) segnati dalle pratiche colturali e l’assenza pressoché assoluta del pastore durante il pascolo quotidiano caratterizzano l’allevamento caprino del Gerrei e del resto della Sardegna. Ed ecco riemergere comportamenti semi-selvatici negli animali, che esige una conoscenza del loro istinto ed una spiccata capacità di addestramento ai percorsi del pascolo brado, le filàdas.

L’esigenza di partecipare agli stili di vita moderni e il desiderio di una vita più comoda rispetto al passato spingono i pastori a recarsi “alle capre” solo per qualche ora, il tempo strettamente necessario per realizzare manualmente l’unica mungitura quotidiana e per somministrare il mangime, oramai indispensabile. Il lavoro,concentrato nelle prime ore del mattino, termina intorno a mezzogiorno con la consegna del latte all’autocisterna di un caseificio. Il resto della giornata, come l’intera notte, le capre lo trascorrono da sole in una delle filàdas a disposizione di ciascun gregge-ovile. Oggi, come probabilmente ai tempi del protoallevamento ovicaprino mediterraneo, lo sforzo operativo del capraro consegue al “gioco d’anticipo” di progettare percorsi di pascolo adeguati alle caratteristiche del suolo e all’istinto degli animali, ma alla capacità di addestrarli ad “affezionarsi” alle filàdas e a non abbandonarle.

Oggi come ieri e forse tanto tempo fa fino ai primordi, il buon capraro è tanto più capace quanto più può permettersi di lasciare soli i propri animali, di visitarli od osservarli di tanto in tanto, grazie anche all’efficacia di capi guida (i castrati) e dei campanacci.
Il sapiente “uso” degli istinti dell’animale, dovuto a profonde e collaudate conoscenze, si attua attraverso processi di selezione, di incentivazione e di inibizione dei comportamenti ad essi legati. Anche l’animale brado è addomesticato, domato, reso manso. La guida razionale del capraro tende ad organizzare gli istinti degli animali in vista di una efficace compatibilità con le caratteristiche fisiche dei suoli, con l’assetto della proprietà fondiaria, e con le esigenze dell’intero processo produttivo, non completamente sotto il suo controllo ma legato all’organizzazione dei caseifici, e più generalmente ad esogene esigenze e regole del mercato. Anche qui, siccome alla natura si comanda ubbidendole, razionalità umana e istinto animale s’incontrano attraverso canali di comunicazione che vengono garantiti da alcuni tra i più efficaci mezzi di lavoro materiali e immateriali come il sistema di denominazione delle capre, quello dei richiami (fischi e parole), delle esortazioni (lancio di pietre e parole generalmente urlate) e quello dei suoni dei campanacci.

Natura e cultura, dunque, istinto e apprendimento, che valgono sia per l’uomo sia per l’animale allevato. Così i campanacci, ad esempio, oltre a fornire importanti informazioni sulla posizione e sui movimenti degli animali al pascolo o altrove, stimolano nell’intero gregge quel senso gregario che altrimenti difficilmente si manifesterebbe, mantenendolo unito anche in assenza di una guida umana. La tecnica dei suoni testimonia come natura-cultura, lungi dall’opporsi, siano un ovvio combinato di attività e logiche umane ed animali, organizzate verso il fine di produrre latte e carne in misura remunerativa. Selezione e addestramento degli animali, se hanno come scopo i prodotti consumabili e vendibili del latte e della carne, avvengono anche in modo da ottenere capre femmine adatte al tipo di conduzione brada e semiautonoma, tipica da sempre del gregge caprino, e oggi ancora più ricercata nella selezione dei caratteri dei vari animali, adatti ai luoghi, ai prodotti e alla conduzione brada e spontanea, che però deve essere appresa dai singoli animali e dal complesso del gregge. Una differenza rispetto al passato anche recente di circa un cinquantennio è l’indifferenza alla selezione dal punto di vista del pelo, un tempo usato per l’orbace.

L’attenzione di Carlo Maxia per le forme e i modi pastorali del passato e per le trasformazioni del presente si concentra molto su quelle piccole società produttive denominate “a cumpàngius” (a compagni), che consentivano di concentrarsi in gruppi sulla base di legami di amicizia o parentela, per affrontare insieme il duro lavoro dell’allevamento e potersi anche dedicare a modeste forme di agricoltura per la sussistenza. La società “a cumpàngius” garantiva una suddivisione del tempo produttivo in unità concentrate di lavoro (giornate), organizzate e pensate sulla base di un aiuto reciproco, di cui si è sempre favoleggiato come assente in Sardegna, e soprattutto nel pastore sardo, rappresentato sempre come duro e solitario, sempre all’erta contro tutti e contro tutto. Maxia ritiene e mostra come il rapporto “a cumpàngius”, diverso dal contratto di soccida perché si stabiliva tra piccoli proprietari di capre e/o di pascolo nelle medesime condizioni economiche e tendenzialmente egualitario, si usasse probabilmente dappertutto nell’isola, sebbene sia rimasto quasi ignorato finora a causa del carattere orale del contratto e della mancata registrazione presso i registri notarili, come invece avveniva per la soccida.

La documentazione delle tecniche del lavoro pastorale, dei rapporti sociali di produzione e di scambio e in particolare del senso che i caprari del Gerrei (specialmente di Villasalto, omaggio anche al paese d’origine di Carlo Maxia) davano e danno ancora al loro lavoro, alla loro vita, al loro mondo, permettono a Maxia di suggerire, con buona sensibilità di antropologo, attenzione per alcuni tratti culturali, da considerare probabilmente come valori importanti della società tradizionale sarda. Il suo sguardo si appunta con rigore scientifico sulle norme etiche e le relative applicazioni, sui relativi valori della fiducia e dell’equità, e anche sui modi di contravvenire a obblighi e regole con tattiche della sfiducia e dell’inganno. Sia le une che le altre norme ci pongono anche il problema se si tratti di estreme tattiche di sopravvivenza di un mondo che muore.
Ma se anche fosse così, che almeno lo si comprenda il meglio possibile, magari per i provvedimenti del caso. Il lavoro di Carlo Maxia è anche un contributo nella direzione di un uso pratico di quanto gli è riuscito di comprendere e riferire.”

Carlo Maxia (Cagliari, 1968) ha conseguito il dottorato di ricerca in Metodologie della Ricerca Etnoantropologica (Università di Siena, 2001). Attualmente è ricercatore in Antropologia culturale presso la Facoltà di Scienze della Formazione di Cagliari.

Indice
Prefazione di Giulio Angioni

CONFRONTI CON GLI AUTORI, DIALOGHI CON I PASTORI
1. La pastorizia in Sardegna: secoli di riflessioni
2. Un’indagine etnografica nel Gerrei: il “passato-presente”
2.1 Metodologia di una ricerca “dialogica”
3. Villasalto nella storia recente
4. Schede degli informatori

PRIMA PARTE. IL PRESENTE DEI CAPRARI
L’identità e l’eccellenza nel lavoro
Il territorio e la proprieta’
I mezzi di lavoro
Filàdas: le vie del pascolo
Selezione e produzione: animali da latte e da carne
All’ovile e in paese: socialità e mutamento dei pastori sardi di oggi

SECONDA PARTE. IL PASSATO DEI CAPRARI
Nel tempo della vidazzone
La “società” dei pastori
L’economia e la socialità dei caprari