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Le Non-Madri di Santa Caterina

panas a ploaghe

L’ora era tarda, non si sa quale di preciso.
Sicuramente la mezzanotte era di gran lunga passata.
La festa continuava, tra bicchieri e risate.
La casetta era il luogo ideale per una serata in compagnia di amici, fuori dal centro abitato, nella località di Santa Caterina.

Questa dista circa 5 chilometri dal paese.
Tutto il tragitto per raggiungerla, poco o male illuminato da luci artificiali, è un continuo sali e scendi tra la vallata ed il cielo stellato.
I due protagonisti di questa storia, stanchi, decisero di abbandonare anzitempo il banchetto e non avendo né moto, né passaggio in auto, decisero di incamminarsi a piedi.

Non era difficile cadere in dicerie su fatti inspiegabili, e tantomeno accelerare di conseguenza il passo.
Era un’estate, sicuramente tra il 1996 e il 1998.
Il cielo, in quella notte, era dominato da una grande luna maestosa.
La luce che da essa proveniva dava la possibilità di tenere il passo sulla strada e di avere una visuale di diversi metri. I rumori provenienti dai cespugli costringevano Luca e Carlo a stare concentrati, i tanti discorsi li avevano un po’ impressionati.

Alla loro destra, a circa un’ottantina di metri c’era un fontana.
Da quella distanza, non era ancora visibile agli occhi, ma il gracidio delle rane prima e qualche misterioso rumore poi fecero interrompere di botto la camminata ai due.
Si sentiva in lontananza un continuo sfregamento. Poi ancora strofinii, e più voci. Le voci erano sottili ma non per questo meno inquietanti.
Erano lamenti, quasi di dolore; delle cantilene, che turbarono l’animo dei due che udivano.

Carlo non aveva benché la minima idea di ciò che da lì a poco sarebbe accaduto. Diversa, invece, era la sensazione che ebbe Luca.
Da sua madre e dalle sue zie aveva sentito parlare di quel che poteva accadere la notte, in prossimità di una fonte.
Una leggenda narra che alle giovani morte di parto insieme al loro nascituro venisse riservato un destino funesto: rimanere in una sorta di limbo, vagare tra la vita e la morte, affrante dal dolore.

Le si poteva vedere durante la notte, in prossimità delle diverse fontane, utilizzate al tempo come lavatoi, a detergere i panni e le vesti dei loro figli mai nati. La loro condanna era quella di ripetere questo ossessionante rito per sette anni, destinati a diventare sette volte sette, o settanta volte sette, se qualcuno, vedendole, avesse interrotto il loro supplizio.
Il prezzo da pagare per i malcapitati era altissimo.

Infatti le anime delle mancate madri potevano diventare creature infernali ed infliggere una punizione terribile, pari quanto all’agonia che le stesse provavano nel loro continuo tormento.
Più i due avanzavano, più l’angosciante melodia si faceva chiara.
Una ninna nanna di dolore, un coro di voci scoordinato, gemiti di infanti quasi soffocati accompagnava lo strofinio dei tessuti.

Né Luca né Carlo passarono inosservati, nonostante il loro proseguire silenzioso. È probabile che gli spiriti avessero percepito la paura, o il battito del loro cuore accelerato.
Tre di loro si voltarono, e, fissandoli con sguardo terribile, fecero sì che i giovani si buttassero a terra, in cerca di scampo.
Ma era troppo tardi.
Immobili, i due stavano in balia degli eventi.

Carlo non capiva, e Luca ormai non era più in sé per poter spiegare, se mai poi qualunque spiegazione sarebbe stata utile.
Le donne avanzavano, quasi trascinandosi con fatica, con movimenti meccanici. Non si vedevano i piedi, coperti dalle lunghe vesti, bagnate di acqua e sangue.
Ma tanto era il dolore che si percepiva, che perfino la paura soccombette.

Tanto era il tormento evidente, che i ragazzi, mossi a compassione, e così, senza nemmeno pensarci, recitarono un eterno riposo.
La spontaneità della preghiera, lo stato d’animo con cui fu recitato, forse, servirono per placare l’ira di quelle creature.
Oppure, non fu concesso loro avanzare oltre.
Sparirono nel nulla, così come sparì la notte.

Carlo e Luca, ancora, non riescono a spiegarsi l’accaduto, né per quanto tempo rimasero accovacciati sul manto stradale.
Probabilmente, diverse ore, visto che furono ritrovati, ancora senza parole, solo la mattina, da alcuni amici che rientravano a casa dopo la notte di festa.
Non parlarono mai con nessuno dell’accaduto.
Per ben sette anni, ripensarono a quella notte, per ben sette anni temettero la vendetta.
Nulla di tutto ciò accadde.
Forse la loro salvezza fu veramente un miracolo.

Pasquale Demurtas